Prosa
» Romanesque
» Allo stato brado
» Girandola
» Sette Sapienti
» Recreation
» Mandala
» Cavalieri erranti
» Sabba
Poesia
» Oltre cortina
» Un filtro amoroso
» Plautinus
» Cieco mondo
» Plancton
» Jack O'Lantern
» Pastelli Giotto
» Mab
» Preludi a Lutin
versione italiana
english version
|
|
PROLOGO
Quando la malvagità dell'umano raggiunge le stelle, arrivano proprio degli strani esseri, miraggi che guidano pochi prescelti a divenire guerrieri, cavalieri invisibili che favoriscano il ritorno trionfale di natura ed arte, caos delizioso.
I cavalieri invisibili agiscono nel buio del pensiero lunare, del delitto innocente, compiuto per legittima difesa. Essi difendono ciò che, mutando forma a seconda delle epoche storiche, va preservato in eterno.
Così era, è, sarà.
Questo è ciò che erroneamente gli studiosi terrestri definiscono come svolta epocale e i religiosi come periodo apocalittico. Chi vi scrive è senza dubbio sotto la potente magia di
un fantasma che agisce in mille modi sotto tante sembianze.
Ciò che resta del passato remoto.
Bizantina
La notte serve ad imparare che si può dividere i sogni solo con degli sconosciuti dispersi chissà dove in questo pianeta molto abitato.
Aspettiamo tutti un padre che non c'è, contenuti in un harem divenuto noiosissimo, uguale, meccanica ripetizione di foto proibite e banali, umori corporali, con una tensione emotiva
devastante, illogica, scardinatrice, viziata.
Io vorrei tramutarmi definitivamente in qualche forma-sostanza nuova, tuffarmi nel vuoto futuro, sapendo che ogni cosa si fermerà in un incanto simile all'orologio scarico.
Immagino che tornerò nelle mie antiche terre d'oriente, avendo fatto molta esperienza ovunque.
Non so se avrò ancora memoria, e se essa sarà legata a dolore non vorrò ricordare niente.
Entrerò nel fisso tempo a venire con paziente magia, senza più timore di perdere ciò che solo per illusoria chimera m'appartenne in un giorno del passato. Un surrogato di falsa bellezza.
Sarò senza meta, senza punti fissi, senza niente, senza la paura del luogo da cui noi proveniamo e a cui ritorniamo. Finalmente non aspetterò più un padre che non c'è mai stato. Incontrerò gli spiriti erranti come me. Li amerò. Ci apparterremo.
Interrogativo e risposta
Quando finì il tempo di Willie Bardo, il tempo in cui l'artista oltre a declamare o a dipingere trovava in ciò la forma purissima del vero potere? Noi ora siamo nel vuoto, forse un nuovo tipo di nascita vuota, mentre muore il millennio. Ma questo non vuol dire niente. Discorso che arriva nel vento e con esso cessa. Abito in via dei Greci, poichè non può esistere bellezza senza un percorso profondamente misterioso e individuale molto aristocratico, laddove non era stato ancora diviso, fatto a pezzi nè l'essere, nè la realtà. L'unica nuova sintesi dispersa, ma possibile sull'esistenza è questa. Tutto il resto è follia frammentata, chimera, sogno, incubo senza ricerca.
L'avventura
E' il solito mondo con tutti i suoi apparecchi nuovi, meccanismi instancabili che non devono mai riposare, tranne che per essere riparati. Essi parlano attraverso i pensieri umani che passano nell'aria. Ogni nuovo sistema d'intersecazioni umane riproduce ciò che è passato, in una forma vagamente differente dalla precedente, che si differenzia a poco a poco per poi scomparire anch'essa in una marea di similitudini. Porto con me il taccuino blu e marrone di un amico morto ai primi del defunto secolo. Dicono sia stato colui che ha ucciso l'antico modo di pensare, mentre io sono convinto che ne ha ristabilito le regole di base, la purezza intriseca. Nella bisaccia dell'aedo non ho gioielli, ma semplici penne e fogli di carta, e a volte uso una matita con gli angeli, segnale della scrittura di parole provvisorie, forse da cancellare. Queste parole di bardo vanno a finire nell'aria ad immagini, e le afferrano nel mondo per caso, battendo dei tasti magici che collegano a me. I tasti magici li batte un bambino nel Texas, una fanciulla in Canada, la ragazza del college alle Bahamas, il ragazzo giapponese in inglese, e tanti fanciulli d'oriente con i loro incredibili geroglifici. Sudafrica, Finlandia, California, Thailandia, il giro del pianeta in otto secondi. La mia origine è infelice, italiana. Di una civiltà passata è rimasto solo il marchio feroce della peggiore religione, esaltazione del dolore del mondo umano. Non c'è oramai nulla che mi lega all'Italia, se non la lingua antica, quella che va da Dante a Gabriele e al pratense. Io parlerò e scriverò in italiano sempre, un po' per pigrizia, ma sopratutto perché è l'unico legame di sangue che ho forte, con la terra, il cielo, il mare, la montagna, gli animali. Occhio nostalgico, sofferente sul glorioso passato. Queste parole inzuppate nel sangue del tradimento io porto ai fanciulli del pianeta, riscattato dal mio essere Aedo, eterno e come loro, come la bellezza, l'incosciente libertà della fantasia senza frontiere, la purezza della curiosità corporale. Che cosa resta di un paese antico sotto il peso del futuro che incalza? Gli spazzini sempre più fannulloni che non hanno voglia di portar via i detriti. E gli stornelli dei muratori sui tetti.
Ho alleggerito la mia bisaccia piena zeppa di racconti tristi. A centinaia gli umani m'hanno narrato i loro guai, m'hanno pagato per questo, come hanno sempre fatto dai tempi dei tempi con i loro saggi, nominati diversamente in ogni secolo. Io nel futuro mi figuro solo il controllo della legge, ma per l'ordine pubblico, non sulla mente e sul corpo, che saranno entrambi più liberi di vagare negli amori di natura e d'istinto e fantasia
La stanza di Pan
Io vorrei ritrovarti al buio, solo al tocco delle mie mani che ti conoscono bene. Vorrei scovare questo fiume di sensazioni al limite in un tocco leggero, quasi impercettibile, come ballando in punta di piedi, o dio dell'infanzia morta. Tu mi possiedi senza abbandono da quando sono nato. Io sono quel tuo figlio portatore di tanto e di nulla. Sono segnato da causalità invadente. Appena nato io guardavo i giochi dei miei genitori senza vedere, poiché il mio sguardo oltrepassava le loro amabili sembianze e si posava misteriosamente su te in alto nella mia stanza. Rispondevo ai giochi di chi si divertiva con me, ma con distrazione e risatine improvvise che non erano dovute alle effusioni affettive dei vivi nei miei confronti, ma a colori, colori nella stanza, respiri che gli altri non potevano udire. Essi vedevano solo le mie manine grassocce protese o chiuse a pugno. Ero più grande allora o adesso che ho paura di uscire dal mio involucro trasparente, dalla ratio che non so cosa sia, temendo i giochi veri, quelli pesantemente immortali, uguali in ogni epoca? Mi stendevano in una coperta calda ad aspettare di crescere per diventare come quel signore sconosciuto che mi ha lasciato la sua parte femminile, fanciullesca e infiammabile, mentre dalla Cina transitava verso l'oscurità. Non sono mai cresciuto, padre indecifrabile, per fortuna. Io vago per le strade del pianeta terra a cercare il piacere disperso, sfuggito al controllo del dolore, piacere sparso come le sementi o gli atomi invisibili. Io uso la ipsilon speciale dei rabdomanti.
Ars Antiqua
Sono volato ai confini del prossimo secolo. Ci saranno solo la musica e qualche parola, molti idiomi letterari, i colori essenziali della vita e belle espressioni corporali in mezzo alle solite brutture, alla tempesta alle porte del cielo sconosciuto, molti vigilanti e violenza gratuita. Cosa rimane nel futuro? Io comincio a narrarvi di come sia finito il vecchio mondo, o almeno quello che vidi in prima persona, gli episodi curiosi che a sera inoltrata io annotavo sul taccuino dell'allora presente che sembrava dovesse essere eterno. Uno dei più gravi problemi era la merda, si, proprio cosi. Gli umani presero a cacare Iiberamente ovunque, sopratutto nei vicoli e nei luoghi appartati. Così, oltre all'annoso problema dei rifiuti casalinghi, peraltro talmente copiosi da essere balzati al primo posto negli interessi elettorali dei politici, quello della merda da sgomberare con enormi palettoni e macchine raccoglitrici saltò ai primi posti degli interessi. Non si poteva più circolare se non con maschere antipuzza e palettine personali, un po' più grandi di quelle usate per raccogliere la popò del cagnolino dal prato. La miseria avanzava e bruciava il pensiero, o cercava con violenza di costringerlo nei luoghi della merda, riservandosi di devastare bellezza e poesia. Per pulire le parti sporche del corpo si usavano i libri, pagine e pagine di ogni tipo di pubblicazione, perché si potevano rompere con facilità e consumare per l'uso.
I giornali non si vendevano più, nonostante girassero delle ragazze piuttosto racchie con monopattino o bici a tre ruote per far ridere la gente. Ripresero ad avere seguito antichi modi dell'essere, come quello di amare una persona, quello di danzare musiche sacre, o quello di declamare versi poetici ad alta voce senza vergogna. Quando ciò succedeva la bellezza aveva il sopravvento sulle brutture umane. Essa emanava un'energia che accendeva antichi lumi, vitalizzava cuori rimasti nobili e fuggiaschi nei tempi merdosi.
Avevano imballato proprio allora gli ultimi quadri dei pittori. Ne avevano fatto un'enorme tomba artistica in un palazzo sotto al Pincio, sorvegliato da un cane cieco ed uno da pastore scozzese. C'era una vecchia insegnante di disegno che abitava da sempre lì dentro, sfidando ladri e possibili assassini, e da lì non si muoveva come Cerbero a guardia del suo amato antro infernale. E si fantasticava che quella fosse una delle ultime persone vive ad aver visto le reincarnazioni di grandi maghi come quello di Oz o quello della tavola rotonda, ma lei negava, perchè aveva paura che sarebbero venuti a catturarla con il carrettone dei pazzi e l'avrebbero rinchiusa in manicomio. C'erano quadri fatti con la terra che sarebbero durati in eterno, mentre altri si decoloravano irrimediabilmente, andando perduto l'intento originario del loro creatore. Della pittura sarebbe rimasto ben poco ed era la prima delle arti a scomparire insieme alla scultura. Le loro tracce si sarebbero disperse in altre nobili applicazioni tecniche e virtuali, cosicchè
ci sarebbe stata un'implosione ed un'esplosione di frammenti pittorici, una grande distribuzione universale di colori e di immagini.
La vecchia signora piangeva sconsolata e voleva morire insieme al suo amico, un grande architetto costretto ormai a progettare solo grandi vespasiani ed enormi bagni pubblici o a spostare depositi immensi di cacca nel paese degli elefanti. Dicevano di non capire più il mondo e dunque, perchè rimanerci? Ma poi non si suicidavano mai, anzi, avevano terrore delle malattie e della morte.
Il libro elettronico
Pagheranno a poco a poco negli anni a venire tutto il disprezzo che hanno nutrito a lungo verso la scienza. Resteranno così solo le risate dei fanciulli in giro e saranno latrati, alti lamenti, follia ovunque, inferi planetari. La mia consistente parte che scrive continua a giocare in eterno, come la bimbina che fui anticamente. Non è altro che scrittura, polvere di vita, vite intercettate per un sorriso estemporaneo, poichè io non sono qui ora, ma nel futuro prossimo. Ogni ora io gioco al futuro, estraendo piccoli frammenti di realtà, arbitrariamente e con fantasia, attribuendo a ciascuna piccola parte della materia, proprietà astruse, facilmente interpretabili in chiave favolistica.
Una buona ragione per fare questo è vincere la noia e il dolore presenti in ogni esistenza, quantunque felice, perfetta. Figuriamoci là dove sussistono complicazioni e difficoltà. Il libro elettronico è un insieme di antichi proverbi e sofisticate formule e tecniche matematiche che nella sostanza sono perfettamente assimilabili tra di loro. Che cosa c'è infatti di più antico del futuro? Le cose più graziose sono gli errori di traduzione, le cancellature, le supposizioni, le sofferenze inutili, le fissazioni materiali simili a quelle mentali, le parole e gli atti inutili, le morti invocate, le morti respinte, la solitudine, le frasi amare e sibilline del tipo cercavo un sapiente ed ho incontrato un serpente. Oppure cosa mi lascio alle spalle? Le déluge et le desert, e massime come la vita è gioco. Vorrei che il libro elettronico mi portasse senza soffrire, senza pagare un prezzo troppo alto, senza giramenti balordi di testa, senza nausea per il viaggio o per la velocità del mutamento, come quando ci si sposta con la macchina per una strada piena di curve, vorrei che mi portasse oltre le colonne d'Ercole.
Il mio destino non è d'aver compagnia, nè d'essere una falena con lo sguardo giù da una collina al calar della sera. E non ho più memoria, l'ho persa per strada, perchè ho fatto troppi salti in avanti e non mi sono saputo fermare mai. Il funzionamento della mia mente è catturato dalla luce spiovente del tramonto e dalle stupide, allegre musiche dei turisti innamorati. E' come se mi si bruciano a poco a poco le valvole e un nastro girasse all'incontrario e fossi trascinato in un mondo sconosciuto, come sotto ipnosi. Sto perdendo dei pezzi fondamentali di me, in questa mutazione genetica di cellule, capelli, pezzettini sottili di pelle nelle sue parti più nascoste. Che cosa sono e perchè io devo servire da cavia per questo esperimento? E già mi sento liberata nel lancio spaziale e temporale. Sono importante, prima non lo sapevo o non avevo il potere di esserlo. All'improvviso non avverto più nulla, ma so che è un fenomeno estemporaneo. Sto facendo alcuni provini di distaccamento dalla materia, odo i rumori ma sono autistica nella perfezione dell'assenza, della stanchezza per il troppo dolore. Epicuro ha avuto compassione per me, è giunto subitaneo in mio soccorso.
Gli chiedo: "In quale sezione del tempo stanno gli altri? Perchè dicono che una mente lucida e determinata come quella del seguace d'Epicuro, Lucrezio, scrivesse negli intervalli di una follia panica, contratta dopo aver bevuto una pozione amorosa? Può essere vero?". Lucrezio fu raggirato sicuramente, preso a tradimento, poichè la lucidità radiosa della scrittura fu addirittura ampliata da un ignobile gesto invidioso. Essa illuminò verità impossibili e ignote, perchè se la verità deve essere saputa... Non è servito al suo scopo l'insano trabocchetto, forse nemmeno a turbare la serenità, la felicità epicurea di quell'immenso spirito, se non per poco tempo non infruttuoso, denso di mutamenti. Poco dolore, se Lucrezio pensava di risolvere tutti i dolori del mondo, segnale di intima imperturbabilità, come quella di Willie il Bardo, con le bisacce piene zeppe di scritture. Lucrezio era troppo in avanti persino per guardarsi attorno. E una pozione magica fece uscire me dal dolore, come discendente dell'antico latino, la dea del futuro prossimo. Ora sono grata alla fioritura entro la mia mente del filtro magico che mi ha restituito, sotto la forma di una finta malattia, gli ardori sopiti dell'adolescenza e le sue sconfinate concupiscenze. Sono stata gettata all'improvviso in una voragine di fantasia, zeppa d'ogni sorta di fumisteria da decifrare e scartare, per risalire alla verità dei colori dell'arcobaleno, una delle cose per cui si può scrivere soavemente delle astruse scienze esatte. Come gioco di precisione, perchè ci sono molti aspetti precisi nella bellezza, come nel formare un'essenza sublime di profumo, o comporre versi, o note leggiadre. Ci fu un tempo in cui io credevo che la bellezza fosse perfetta e noiosa, ma non è così. Essa è in moto perenne tra le sue mancanze, proprio come la scienza, e con essa oggi s'incontra in un abbraccio magico e universale. Nutrivo anche un irragionevole timore sulla possibile fine delle parole, inghiottite dal silenzio. Pensavo che un bel giorno potessero finire, a come sarebbe successo, al modo di farvi fronte. In realtà, io avevo una semplice intuizione intorno al mutamento di trasmissione delle parole scritte. La fine naturale del libro stampato. Un altro tic tormentoso era quello sulle parole già usate tante volte da altri, che mi creavano un certo imbarazzo mentre restavo solitario dentro al recinto di quelle.
Perdevo le mie parole, prigioniero forzato per finzione. Adesso ho cambiato un po' idee da quando scrivo sul grande e nuovo libro elettronico, sopratutto intorno alla parola parlata e scritta che persiste copiosamente magica, densa d'ogni sorta di potere, anche sotto forma di geroglifico. Sulla mutazione genetica ho pensato ai suggerimenti di alcuni religiosi, a possibili accostamenti alle anime morte, ma non ci credo. Io vivo il passato semplicemente come schizzo di vernice nel muro, con la porta nel futuro. Dunque non c'è reincarnazione, ma solo una proiezione vagante verso un'entrata più agevole, un indice, una freccia disegnata per essere usata facilmente dentro al nuovo libro elettronico. Esso è sorprendentemente sincronizzato con il reale, molto più di qualsiasi altra trasformazione precedente, perchè gli incontri reali sono ben riportati in schermo molto più di ogni confessione o conversazione parlata e non. Di un incontro tra scrittore e lettore c'è solo il reale tra umano e umano, non esistenza di un rapporto immaginario, denso di problemi grazie a Dio irrisolvibili. Realissimo, sfuggente, unico. Lo scrittore non c'è mai e lo sa benissimo. Il lettore è presente nella sua libertà più totale, senza condizionamenti che non siano i suoi più immediati, un vero lettore.
Sono felice d'iniziare, a circa la metà della mia vita, questo percorso meraviglioso. Strano mezzo cammino, sono a cominciare un'impresa da favola, paragonabile a quella d'aspettare con pazienza che fiorissero le margherite giganti nel giardinetto della bimbina che ero, all'inizio del cammino. Infanzia e mezzocammino gaudiente gorgheggiante, leonardesco.
Morgana e Merlino
Nell'ultima vita di cui abbiamo notizia, Merlino il fattucchiere di corte era divenuto pittore realista sulle orme dell'immenso Turner. Solo che di fronte all'oceano egli dormiva, mangiava o faceva all'amore. In realtà egli dipingeva piccioni liberi o in gabbie con un buco per scappare, assorti o nella lotta erotica, sorvegliati da un pacioso e grasso gatto siamese. Immemore del suo glorioso passato, egli nutriva una forte emozione nostalgica ogni volta che scrutava l'ammasso d'acqua che bagnava la sua costa e quella dell'antica patria, che pigrizia e nuovi piaceri, gli impedivano di raggiungere e visitare. Tale mancanza Merlino l'avvertiva acutamente nella sua arte, impastando non più pozioni magiche, ma colori, calce e gesso, spiando non più gesta di re, ma belle donne e animali. Era come se ogni quadro che dipingeva, fosse sempre incompleto, mancante di qualche cosa di misteriosamente essenziale. Il pittore era nato in terra di Castilla e viveva al presente felice sposo di un'antica ninfa in Galizia, padre amoroso di un fanciullo bello e biondo come sua madre. Nella buona stagione essi stavano assisi davanti all'oceano, aspettando il tramonto che non arrivava mai, e nell'inverno andavano per i boschi montani a cercar funghi e altre meraviglie della natura. Ogni anno Merlino compiva un viaggio in giro per il mondo, non sapendo che cosa cercare, con quell'insoddisfazione addosso che lo faceva dipingere e sognare di poter un giorno esprimere le sue strane mancanze. In genere tornava nella sua candida casa ancora più insoddisfatto di prima e la sua pittura si riempiva di nuovi colori, cresceva in qualità e lui lavorava ininterrottamente dalla mattina alla sera, furiosamente agitato.
Fu verso la media età che decise di ritornare a Roma, luogo degli studi giovanili, delle prime idee strane, dei giochi mentali sulla vita e sugli umani, su, in alto, dal Gianicolo al Pincio. Ricordava lo sparo di cannone del mezzodì e le conversazioni con l'amico gesuita, i matti pittori italiani, la bellezza di quei tramonti incandescenti, mentre lui bruciava dentro di ogni possibile desiderio giovanile. In un pomeriggio più afoso degli altri, egli salì sopra piazza del Popolo e s'addormentò in un muretto all'ombra, accanto ad una fontanella rotonda dal petto piccolo e grazioso. E fece un sogno che faceva sempre da ragazzo, quando le notti di Burgos erano troppo calde e gli sembrava di sentire il lieve sospiro della sorella che già sognava o i bisbigli amorosi dei genitori cbe giocavano tra di loro come bambini.
Ecco il sogno di Merlino incosciente. Egli si svegliava accanto ad una fonte entro cui si specchiava per vedere come sarebbe divenuto da grande. All'improvviso dall'acqua piena di cerchi soavi sorgeva tremolante un viso di fanciulla sorridente e ironico, accanto al suo coronato da una nuova, fitta barba. Crescendo s'era dimenticato quel volto che non era quello rotondo e biondo della cara moglie, ma il viso di una sconosciuta dagli occhi mediterranei e dai riccioli scuri. All'improvviso da una vecchia palma cadde un ramo secco e Merlino si svegliò. Guardò d'istinto nell'acqua che canticchiava paciosamente la sua canzone per gli uccelli, e vide quel volto straniero. Si girò inquieto e Morgana era lì, più spaventata di lui, anche se non lo dava a vedere. "Dove sei stato per tutto questo tempo Merlino? Ti sei perduto col tuo gufo nei peli della tua barba? Ho saputo che ora ti sei messo d'impegno a fare il pittore, forse per aiutare un'arte in estinzione. E' poco saggio per te, di solito così accorto. Meglio se continuavi con i tuoi intrugli a procurar sortilegi, o aiutavi le muse a riportare un po' d'ordine in questo tempo distorto, senza commedie o tragedie, flauti e cori celesti, pantomime o poesie leggere che procurino amore".
E ogni secolo passato rivisse nella memoria del mago Merlino, attuale pittore in Galizia.
"Non hai messo una briciola di giudizio, Morgana, sempre a correr dietro alle tue fantasie, a vanesie parole che scambiano volentieri lucciole per lanterne, stelle filanti con stelle cadenti, comete con la coda di un mulo da carico. L'unica cosa che mi piace nei tuoi mutamenti è che sei divenuta più mediterranea, che ti sei allontanata dalla nostra comune origine fredda.
Ciò m'incuriosisce, visto che anche io ora sono mezzo arabo, pur frequentando l'altra costa e avendo una famiglia di sangue celtico. Per quanto riguarda il mio attuale mestiere, al solito t'inganni, o fata bruja, poichè esso esisterà fino a che ci sarà un solo umano che potrà incidere sul tronco di un albero una dedica d'amore, naturale come la forza dell'oceano e la luminosità dell'alba, espressione di una passione folle la cui formalità sarà sempre incompleta. E il pittore insoddisfatto urlerà corne un bambino. Piuttosto occupati delle tue arti, Morgana, che son quelle più travagliate, essendo in profondo mutamento la trasmissione delle scritture sacre agli dei della bellezza e dell'intelligenza, per via delle nove invenzioni più potenti delle macchine a stampa, che ci precedettero nella nostra nascita sulla terra, e alle quali eravamo avvezzi da secoli e secoli. Non puoi permetterti di non averne padronanza, o diventeresti una bruja di campagna che non serve più a nessuno".
"La tua lingua Merlino non è migliorata come il vino con il tempo, ma è più velenosa, come se appartenesse ad una vipera incinta. Io sono una una fata planetaria e viaggio entro i novissimi marchingegni del nuovo Leonardo. Dovresti ricordare che io sono talmente celebre da aver indotto un grande pittore a vestirmi con i paramenti della sacra bellezza russa. Se vuoi, poserò per te come colomba bianca dalla larghissima coda spiumazzata, il più regale tra gli uccelli, più dell'aquila crudele o del vanitoso pavone, poichè nella sua perfezione innocente essa conserva l'umiltà del passero e della gioiosa rondinella. Sono felice che si conservi la pittura nel futuro, perchè io amo ogni espressione di bellezza. A me spetta l'ingrato compito di raggiungere le menti e i corpi più distanti, sconvolgendoli con una scia di polvere di stelle. Io parlerò ancora per molto ai fanciulli che già vivono in un'altra dimensione. Desidero ardentemente colloquiare con loro, che sono il futuro, l'eternità. La mia poesia, la magia del verbo li condurrà soavemente nel giardino degli artisti, nell'incanto da dove non saranno mai cacciati ferocemente per un peccato mai commesso. Là incontreranno anche te, Merlino. Sei felice?" "Morgana, antica aeda dei boschi di Venere, tu solleciti la mia nuova anima spagnola. Ti ricordi quando non litigavamo mai e giocavamo insieme con le lucertole e le chiocciole? Poi sei mutata, divenendo silenziosa, occupandoti di strane forme artistiche che t'hanno fatto ammalare del male di Saturno. E non ti ricordavi più della nostra fontanina e dei sassolini che lanciavamo per gioco lì nel fondo, perchè era lì che dovevano restare".
"E tu allora, Merlino, che la memoria l'hai molte volte persa del tutto, fino a trasformarti in mille personaggi? Tornerai ancora alla nostra fontana romana, a giocare come un tempo?"
Qualche cosa luccicò sopra i tetti della città eterna, nella notte che invase ogni ripostiglio del cielo con i suoi giocattoli luminosi. Erano gli occhi del gufo di Merlino che annunciava la dipartita del fattucchiere. Di Morgana rimase sul praticello davanti alla fontanella, un tappeto di asfodeli, come nuvola afrodisiaca per ogni cuore innamorato che sarebbe passato di là. E il mistero continuava a vivere nel buio, nello splendore del gioco impossibile tra arte e vita, per il quale ogni cosa è mossa anche senza un alito di vento.
Erratico
I massacri d'amore e le gaudienti ore degli amplessi consumati di nascosto al mercato di verdure, dove non si vendono cavoli a merenda o cetrioli sott'aceto, uova, mazzetti di fiori ed erba cipollina, ma si vendono le sane voglie e insane degli uomini e delle donne, e altri cibi con forte odore di zolfo. Si alternano gioiosamente i bisbigli della intima conversazione tra amici, delle zitelle e delle puttane, con i putti e i fanciulli, nel tentativo di definire il fantasma di eros ed i suoi innumerevoli effetti. Ed uno ha voglia d'un amore spirituale, e l'altro desidera solo palpare la dolce materia delle cose, assaporare direttamente. Mentre un altro ancora invoca la salvezza insieme alla propria dannazione, dando fuori di senno.
Incantesimi e magie originarie
Febo avvolto in una veste di porpora sedeva su un trono rilucente di fulgidi smeraldi. Ai suoi lati stavano il giorno, il mese, l'anno, i secoli, le ore disposte ad intervalli uguali, la primavera cinta di una corona di fiori, nuda l'estate con un serto di spighe, l'autunno impiastricciato dell'uva che aveva calpestato, l'inverno coi candidi capelli irti di ghiaccio.
"Purpurea velatus veste sedebat in solio Phoebus claris lucente smaragdis. a dextra laevaque Dies et Mensis et Annus Saeculaque et positae spatiis aequalibus Horae Verque novum stabat cinctum florente corona, stabat nuda Aestas et spicea serta gerebat, stabat et Autumnus calcatis sordidus uvis et glacialis Hiems canos irsuta capillos" Cominciò così la prima dicharazione d'amore della storia del mondo, poi emanata in sogno in una notte di lucentezza ad un grande poeta latino, cantore del caos, del mutamento e dei tempi gloriosi. Per Aeda iniziò con un vocabolario verde ed un mappamondo senza luce. E furono queste due cose che ella usò per fare incantesimi e magie originali.
Sono il filosofo del giardinetto ermo, eremo che mi protegge solo in parte dagli umani che abitano sopra di me e spazzolano ogni giorno i loro tappeti, sgrullano le tovaglie e qualche volta perdono i panni che appendono maldestramente ad asciugare, i sigari che fumano a metà, le caramelle appiccicose che sputano distrattamente dalle finestre, i pezzettini di formaggio con cui cercano di cibare i loro simili e quanto altro giù da basso. Sono un filosofo floreale, amo i fiori e gli animali e ciò che dà loro la vita. Dagli umani oramai non prendo più nulla, conoscendo i loro gesti, le loro parole, molti dei loro pochi pensieri fissi verso i quali io provo una specie di chiusura ermetica.
Mi occupo solo della bellezza e la inseguo nel giardinetto di casa e nei giardini più appartati di Roma, o al tavolo di un bar elegante con l'aiuto del figlio del fuoco preso in modica quantità dimodochè non faccia male al corpo e agevoli la fantasia. Io sono Rea e discendo da grandi padri dell'Ellade Per essere ciò che sono ho dovuto percorrere le metamorfosi ascendenti e discendenti, fino a che sono approdato al quarantaduesimo parallelo. Sono stato un contadinello prigioniero delle mie paure ed ora, arrivato nella città eterna, Roma è il mio maestro. Io sogno di diventare l'amante del mondo intero, come il quarantaduesimo parallelo che passa attraverso il mare e le pinete di Ostia, abbracciando successivamente il pianeta, immaginario tourbillon. Vorrei invocare Pitagora in persona, perchè mi sveli in modo esaustivo la potente magia dei numeri, cosicchè nel novembre dei morti, o giù di lì, io possa accedere a vita nova, unendo il mio desiderio alla mia vita corporale. Danzerò sopra mille candele accese senza bruciarmi. Immergerò i piedi nella cera ardente e poi li bagnerò nell'acqua marina, come ultimo addio a ciò che ero solo fino all'estate appena sfumata in cielo.
|
|
|