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Saracino
L’ultima volta che hanno visto il fantoccio girevole risale a qualche mese fa, in marzo, quando sono andati a spolverarlo un po’ per prepararlo al nuovo grande impegno di giugno.
Nella stanza buia i suoi occhi sembravano quelli di Belzebù in carne ed ossa, o meglio, in legno durissimo o coccio di giardino, come le statue delle ville antiche dove ci sono ancora bimbi da far divertire.
Poteva sembrare uno spaventapasseri per corvi affamati d’uva e ciliege, perché i corvi non mangiano solo carne, sono ghiotti anche loro di cose dolci, e il sangue è dolce.
I due custodi addetti alla manutenzione del re moro ogni tanto lo lisciavano delicatamente col panno come fosse cosa vera, un cristiano, ma non lo era di certo mai stato, nemmeno se prima di dipingergli quegli occhi spalancati fosse stato miracolosamente incarnato.
Era un demonio nero, un saracino, con tanto di turbante e barbone, vestito all’orientale.
Nella foga del gioco ogni tanto perdeva il suo prezioso copricapo e si vociferava che nessuno, quando era a riposo, glielo sfilasse di soppiatto, ma intanto il turbante era quasi sempre adagiato alla fine del tronco scuro, il corpo del pupazzone girevole.
Naturalmente le chiavi della segreta erano in doppia copia per i guardiani che si facevano giuramenti continui tra di loro, negando e negando.
Resta il fatto che qualche visitatore misterioso lì dentro ci arrivava, eccome. Tant’è che prima di una delle ultime competizioni una mano sconosciuta aveva ridipinto gli occhioni del fantoccio in maniera così realistica da sembrare che gli uscissero dalle orbite. Anche il busto era meno verdognolo, come se provasse ad incarnarsi sul serio, a prendere a camminare e ad inseguire i suoi nemici cristiani.
Di solito i due custodi, dopo averlo messo a lustro, lo appoggiavano ad angolo, nei pressi di una vecchia finestra, dimodoché giù dal pianterreno essi potessero di tanto in tanto dare una sbirciatina che tutto fosse al suo posto.
Non sapevano di preciso perché sentissero quello strano bisogno, ma si giustificavano con la fifa dei ladri, di qualche antiquario fallito che volesse sottrarre il Moro alle autorità pubbliche per venderlo all’estero di contrabbando e farci su un bel gruzzolo.
Sebbene l’intero stabile fosse dotato dei più ingegnosi sistemi d’allarme, persino d’una sirena che quando scattava trasmetteva a tutto volume le preghiere dell’ultimo raduno a La Mecca, dentro a quella stanza non era mai volata neppure una mosca.
C’era al contrario un pesante silenzio che incuteva imbarazzo e timore.
Abbastanza per far nascere attorno al mostruoso combattente leggende, favole, chimere.
Una in particolare fece presa tra i ceti umili, ma non fu respinta con convinzione nemmeno dall’ironia del potere e divenne angoscia comune di un intero paese cristiano.
Tra i ceti altolocati nacque un’apposita confraternita che si riuniva periodicamente per parlare dello stato del fantoccio girevole e attrezzarsi a mantenerlo così com’era.
E’ ora di spiegarne il perché.
La leggenda narrava che quel satanasso molto venerato ad ogni giostra come pericoloso nemico, non fosse sempre stato un moncherino di legno, sebbene ben lavorato, ma un saracino normale, con tanto di gambe e piedi, di braccia non aperte a spaventapasseri, di lineamenti più giovani, ma pur sempre da mascherone per sputare addosso ai crociati.
Come fosse possibile un fatto così strabiliante, chiedetelo alla magia nera, la stessa da cui si generano questi pupazzi d’oggi, esposti solo alle quintane di paese.
E’ scritto di un passato remoto in cui il nostro saracino viveva nascosto in un posto sperduto del mondo incivile, nel senso di non civilizzato, dopo aver ucciso tanti crociati dentro a torri altissime, scambiandole per quelle di Sodoma e Gomorra.
Scambiando anche per crociato ogni uomo che respirava.
Si vociferava che fu il suo dio a ridurlo poi così, per punirlo del suo errore, ma che la punizione fosse temporanea, non eterna, e che sarebbe poi tornato come prima.
Passavano veloci i secoli e oramai probabilmente la pena era scontata e il pericolo grande per i cristiani e non.
La confraternita giudicava imminente la nuova trasformazione. E se poi quello scellerato avesse replicato i suoi misfatti, fregandosene di fare ancora il pupazzo?
Non si poteva correre il rischio. Occorreva mettere le mani sul saraceno fuggitivo fino a che era ancora un pupazzo, legarlo come un salame e attendere la trasformazione completa. Fu dato il triste annuncio alla popolazione. La giostra era annullata per motivi di sicurezza pubblica, non certo perché il pupazzo girevole non era più al suo posto. Era scappato, mettendosi a ruzzolare giù per le strade.
Era già tornato il mostro di un tempo?
Tutti aspettavano, vivendo quei giorni col cuore in gola.