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versione italiana
english version
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Silly Fume ultimo petalo bianco agitato dal vento di luglio tu sai che non sono morto e solo queste parole io volevo scrivere, nell'ultimo giorno. Noi siamo i vampiri dell'aria. Tutti temono il nostro volo ad ali spiegate, liberamente ignaro d'ogni cerimonia sul corpo liquefatto e pieno di vermi. Silly, perché dunque ti ostini a piangere? Spazza piuttosto contro vento i petali del tuo giardino dopo lo scarso, finto acquazzone. Ridi insieme a me, Silly
Empty, non permettere a Flux o a qualsiasi altro soffio di vita che in te prende forma invocando dallo spazio vuoto di toglierti la magìa delle conchiglie del sassolino animalesco e della pigna che s'apre e si chiude. Non perdere l'odore del gatto e i piccoli ragnetti saltellanti. Ricorda la salamandra appena nata e quella morta, nata cieca. A volte la natura è crudele.
Il più grosso lampione è la luna che scende a baciare d'argento l'inferriata della stanza come ragnatela di ferro. Il prigioniero ha due chiavi per uscire nel chiostro: Vilkas è la seconda in basso Mourning, la prima in alto. Non sono separabili. Nel bucofessura sta l'equilibrio dell'eterna forma divina. Dolore e piacere.
M'inoltro in un cielo con nuvole a scala aldilà, sul mio viso bagnato di lacrime sopra fly, il desiderio senza carne acqua agitata, cascata inquieta. Stranger è insozzato. Gli ho allagato lo sguardo.
L'uccello tropicale e due colombe messicane i due conigli, la bici finta con una ruota grande e una piccola quella vera, la prima bici, appesa ad un chiodo. Il carillon con l'uccellino in gabbia che canta il tema di Lara del dottor Zivago. L'accendino da cerimonia floreale del tempo in cui mia nonna lavorava in Francia e lo spruzzo fiordaliso di Marc Chagall. Questa io sono, nell'eterna valigia da fare. Cambiazione.
Faccio nascere dal nulla dei piccoli oggetti, favolose parole o metèco, e vuoi che non mi curi delle visibili impronte dell'umano?
Non sconvolgere i miei campi di camomilla screpolati, assetati e il falasco secco suolo inaridito dal sole cocente. Lasciali senza acqua e profumeranno di più. Sono la triste terra sopra cui tu cammini guardando le stelle cadenti o Xanto. Fiumecavallo.
Accorato mattino d'onda trasparente, liscia santa acqua di purezza. E' stata una notte verdazzurra meteoritica, terremotica. Ora una bambina cerca conchiglie e il gabbiano vorace mangia pesce, audacemente.
Sono della setta dei poeti invisibili. Rubo dalla vita dell'umano solo poche lune piene e qualche scontro d'amore. Per il resto compìlo l'elenco delle cose strane che vedo. Le luci della strada si spengono al mio passaggio e sto sempre per lasciare il pianeta infangato.
Passerotto Se tu vuoi cibo per l'inverno dovrai essere gentile con me e farti vedere ogni tanto. Sii meno schivo e meno monotono del gatto che smiagola di continuo per mangiare.
Chi ha mosso i miei giochi in giardino? Il vento giallo d'ottobre il richiamo imperioso dello straniero il mio desiderio di lui. O è stato lo scorpione mortifero. Forse la conchiglia e la pietra hanno giocato tra di loro tradendo il sasso a forma di gallo e l'altra conchiglia malinconica. Non conosco i segnali magici ma Lutin di sicuro è passato qui.
Luna grande che t'innalzi sopra il cavallo dell'imperatore accanto alla statua oscura del ribelle maschera di morte bianca di gesso. Tu sei una sarta impareggiabile. Hai cinto di tulle color del vino mosto la vittoria che scaglia una lancia sopra il petto degli amanti estasiati. Nuda era la dolce pietra prima che aprissero il sipario e il folle Willie urlasse e ridesse. I fanciulli danzando fermano la città eterna per raggiungere il bosco sacro a Venere. Abbaglia, o luna delle castagne: tra un po' io nascerò alla gioia della divina vitalità naturale.
Sono il tuo animale farò ciò che vuoi conservando la mia innocenza. Animale estraneo leggero, soffice servile, giocoso libero, vizioso, insaziabile infantile animal
Il grande carro s'è spostato in cielo con fragoroso tintinnìo orientale e ruote arrugginite dai gelidi sguardi lunari. Ecco un fruscìo di vesti nudo corpo trèmulo. Preparati, dònnola: è l'ora. Non dire che sei stata tu a sciogliere le briglie dei cavallini. Cosa succederà alla costellazione che sta precipitando nel vuoto?
Zhìdao. La sua ombra m'avvolge orecchio d'elfo, occhi allungati il guerriero orientale. Braccia robuste d'alberello nodoso movenze d'animale affezionato feroce, d'attacco repentino nel buio. Zhìdào.
Lèmur, unghie corte e rosse sei il puerile letargo che gioca in forme colorate visione riflessa in bianco e nero da sotto in su, il nulla felice. Nel sonno il tuo idìoma è più trasparente e si muove ad organetto zingarello.
Quando la luna bislunga si riflette sui sassolini d'argento bluette una penna invisibile si desta e ombreggia solitaria sulle bianche pareti. La civetta ride leggera nel gioco del dodicesimo sogno crudeltà e gaiezza inquieta. Oh, stunned, incantamento bambino mente corporale, corpo mentale!
Hai segnato la tua presenza nel palmo della mia piccola mano. Io ho baciato la tua, sfiorandola. Ti servirò in bellezza e libertà mio sire. E già volammo oltre i nostri giardini pensili senza guardare indietro. Nacque un altro solco traccia reale, vita segreta da qualche parte perfetta.
State voi dentro. Io esco. E se la mia corsa finisce presto meglio, così mi riposo. Una lacrima sola scendeva dall'occhio sinistro di Marion.
Sono sempre altrove con le nuvole che vanno lente non si sa dove. Rincorro l'amore di un fratello vivendo molto bene. Mia gioia sterile è uno sguardo sul bimbo che suona un inno mentre passa il vecchio musicista nei pressi della fontana consacrata a cantare la guerra. Lì dentro sono stato battezzato bardo, e vestito di piume.
I frammenti della bellezza sono dispersi nelle ore ingenue sul cielo. L'angelo ferito da Amore è dentro la sua gabbia dorata. Lunatic parlava a se stesso senza che alcun terrestre si svegliasse da sonno profondo. Era solo a nascere e a morire ogni giorno, ogni sera del mondo. Se il dolore è così viva il dolore vitale gioia travestita da insonnia mal di capo lunare. Paciosa pisciata in bocca alla verità.
Plume scrive con tre penne bizzose che duellano sempre tra di loro. La rossa vuol solo scopare l'azzurra affetta la luna e ringrazia il cielo. Quella argentata, la pigra si gira nella tua pancia prima di rinascere, ancora.
Sono come te, Roma rovinosa assenza mortifera, voli essenziali pax des deux, coda elegante di volatile secolare. Ho chiuso l'eterna infanzia dentro al carillon del futuro. c'è un cranio, una schiena e uno sguardo velato di piacere. Suspence sottile. Roma vanitosa.
Acqua di Trevi, piscina turistica clic e cuori tra i cavalloni alati. Ai bordi passeggia la morte. L'insonnia dell'antico rito gira su se stessa senza richiamo. Distesa di stracci che respira al riparo dal freddo siderale o tanfo caldo, animale al fresco. I bambini del mondo a tu per tu con gli dèi possibili. ìncava sauna, purezza corporale dopo amplessi gioiosi.
Acqua infelice al castello del Quirinale statue immemori, senza testa, senza mani deturpate da impietosa ira. L'ombra bianca della morta luna è più forte dei brutti Dioscuri. Al solito passeggiano il matto e il poeta con i loro spiritosi cartelli. Non sono mai invitati alle cerimonie. Vento infelice spazza via.
Muschiosa grotta graffiata da orchi e baciata da streghe mio muro del pianto dove ho lasciato l'infanzia con disperata spavalderia. Tracotante libertà violenta della vittima sul carnefice. E' la grotta eunuca in fondo alla scala bizantina.
Tra pietra e pietra va furtivo il gatto Zorro. E mentre il sole del tramonto sgattaiola verso la rimessa del cielo io sogno che il mio assassino diventi un fanciullo birichino.
IC'era l'ortica, una giostra merlata le befane con calze e scopa sopra fiumi di piscio notturno. Navona inquieta, tu celi il terribile delitto, indicibile disonore. Le fontane tacciono moribonde un cimitero nascosto e stravagante dietro di te, nel palazzo dove abita l'assassino infelice.
IINavona enorme frastuona è un lettone a tre piazze un'orgia infinita di gemiti santi mentre qualcuno spia i gironi infernali
IIIE il cavallo più bello uscì dalla fontana a passeggiar verso Sant'Angelo con gli zoccoli lustri d'acqua. I tuoi piccioni, o Navona volarono in libera caduta dentro ad un altro affresco. E Zefiro soffiò dispettoso sul cavalletto di candido dormiente.
Nella stanza di Pan c'è il carrettino dei dolcetti. Non lo sciupo, sono buona. Trasale la bimba nel suo letto sotto le coperte, faccio un fioretto. Ancora non sapevo che il Dio mi spiava e m'avrebbe trovato maliosa.
Stanotte, in mezzo al terremoto m'hai cercato a piazza Arena gilet grigio di seta, occhi chiari. M'hai allontanato dolcemente sapendo ch'era inutile mio diletto fanciullo Nick, il nazista.
Diluvio di Odino, Wotan si è scatenato Eolo soffia forte sul cadavere del poeta annegato e mai ritrovato. La giovinezza dispersa sbeffeggia al riparo negli antri bui dei palazzi gli americani dentro la vagina di pietra. E Roma baldraccona partenopea rimescola sangue in grandi coppe d'oro. Appena finisce il temporale sacro nasceranno i nuovo pagani giù per la scalinata tibetana infiorata di delicati bisbigli.
Ho danzato dentro di me negro, sporco, solo, cattivo per risalire al chiaro moto del frullar d'ali in parole seminate dal fato in me, indegno erede dei giullari amorosi. Orfeo è in cielo ed Euridice sottoterra. Io sono nei due armonia di marmo mortuario infiammato mare d'agosto limpido aèdo del nord disceso agli inferi rossi.
O pollinosa aria floreale del maggio tripudio di leggiadri presagi! E' finita la mesta stagione eunuca, e matura l'avvento di doni, sospiri gioiosi. Una corte di giovinastri maldestri, e vecchietti bavosi declama ad alta voce le qualità squisite della sua regina di cuori. Etaìra vaga oltre la cortigianeria alla ricerca delle anime belle.
Blaky, il gatto nero è volato in cielo, sognando. Ora passeggia sulla luna calante scura, cattiva come lui. Morderà la coda alle comete vanitoso, giocherà con le stelle facendole cadere per dispetto su deserti e montagne sconosciute.
Come farò con il cielo con il sole e la luna e tutte le stelle, e le stagioni e i ricordi, e me? Solo nel tuo verde m'avvolge la vitalità dell'immemore narciso.
Luna di pietra incantata
ramosa cornice di Chateaubriand.
Laggiù la cupola papalina
giace immersa in pallida cenere
e tu trionfi, luna infuocata
in mille lampade votive
per le nozze di Eros e Psiche.
Una campana suona una nenia
morta. E gli artisti sognano
con il vento, nei nidi di merli.
Sabbia di petrolio, acqua
saporita d'abbacchio e rosmarino.
Le meduse cattive s'aprono a stella
e Nettuno s'ubriaca con Eolo
nel tourbillon degli eroi morti.
E' sbarcato Enea disperso
con mirabili dee a proteggerlo
nei suoi miraggi, sollevando
lembi di vesti acquamarina
e l'aroma improvviso dei pini.
Su per il viale delle cento lampade
spiove la doratura dell'angelo nella ficaia
e dalla piazza dei guerrieri
delle stagioni, della Bibbia
si sparge la polvere delle cupole gemelle
con qualche pipistrello che annuncia l'oscurità.
Io sono alle tue spalle, o caput mundi
fedele scudiero.
Il rosso tramonto scende dall'aria
giù per la scala larga
alla stanza della bambina
che si trastullava nel sonno.
Due merli ricordano il suo nome.
Hanno scoperto gli occhi della bambola
seppelliti sotterra nei lunghi secoli.
La notte sorprende improvvisa
i vivi a rimirar la colonna.
Io ti respiro, o Roma antica
ostia liquefatta all'altare degli dei.
Ti invento, e ti mangio, e ti bevo
intensa Roma, come il primo e l'ultimo
amore, sacrificati ai sensi e alle muse.
La mia mente è il tuo pomerio.
Ossa e capelli coronati
dall'intreccio dei gabbiani.
Il sonno largo del Pantheon
ricopre le armi d'Orlando
e lo sguardo di Thomas sui re.
Due ubriaconi, la signora barbona
la vecchia cagna pezzata
son fissi ospiti del vuoto
interrotto dal passaggio di un Phaéton.
Volerò talmente in alto
quale scheggia di pietra lunare
o gabbiano dell'altare della patria
che potranno sfiorarmi solo i baci
dei fanciulli del maggio, e miagolii
e spreco di stelle spesse
preziose sorelle venusiane.
Ascenderò in un tappeto aromatico
a cavalcioni di un arcobaleno.
E sarà il mio assassino
a morire subito. Io sono Quaver
antico scozzese che sonnambulo
passeggia con l'ìlare cornamusa
sopra il muro del merlato castello.
La terra sussultava al mare
e un cherubino scriveva assorto
con la piuma persa dal gabbiano.
Gli umani erano agitati
come sospinti dalla luna
ed era il settembre solare
l'attesa alla piena dei frutti d'ottobre.
Ogni morte che giunge
è preludio alla vita, alla danza del vino
e alla rinascita di Lutin
con liuto e spinetta.
Mater Mediterranea senza occhi, nè bocca
grande seno cadente, pancia sfatta, invidiosa
della bellezza straniera, che inquina
il tuo oceano con puri diamanti.
O mater odiosa di templi senza dèi
unica energia senza restauro.
Io sono il guardiano delle greche rovine
l'amoroso dei suoi invasori.
II
Non illudetevi. Ancora gli dei
sono custodi delle colonne
e dei capitelli murati vivi
punizione a gravi peccati.
I colombi volano nelle buche del tempo
e monaci neri s'aggirano inquieti
tristi nei loro misfatti
come se, o presagio bizzarro!
toccasse a loro il profano.
Io sono Dindon, zimbello
dei mostri italiani. Sogno
il paese di Landerneau, soave
verso Singapore, con emigrati dal Baltico
o dalla tenue Lituania. Vivo in Campidoglio.
Passeggio con veliero in capo, e un'opaca sfera
sperando che divenga il mondo sconosciuto.
E vegliano su me dormiente
le sacre oche guardinghe.
Candido è in riva all'oceano
profumoso di funghi boschivi
invaso dalla pietraia dispersa
dalle dispettose ninfe montane.
Sta dietro ad una lanterna
assìso sul filo della nostalgia
che bagna solo il cuore.
Oggi compie diciotto anni
e pensa ad una fanciulla
toccandosi la magica barba.
L'Aèdo è innocente
se al suo passaggio s'apre
il lago tranquillo, e il treno
deraglia verso l'impossibile
scagliando sogni e sassi.
L'afflato dei suoi antenati è
nella cattedrale senza santi
in occhi puri, nell'ala aperta
marchio indelebile, musicale
sorriso della Gioconda.
S'avanza un puro artifizio, un trillo
falso come l'unica verità, vero
come il naso di Pinocchio e Cleopatra.
Mira la fontana senz'acqua, la giostra fermata
mangia roseo zucchero filato.
E nella quieta vegetazione, con animale brio
conversa, o Quaver, col tuo amico Don Miguel.
Non c'è nessuno a scendere i gradini
del vecchio teatro, declamando
il copione degli aèdi vespertilii.
Unico spettatore attonito è la statua
della dèa del grano andato a male.
Un lieve tocco di celesta passa
sopra i compratori di reliquie;
e solenne li traveste con pìetas
l'ombra della morta luna.
Ottobrata appena velata, cinerea.
La vedova fontanella della radura
è rimasta sconsolatamente deserta.
Eppure non cadono ancora le foglie
s'ostinano a fiorire gli oleandri.
Solo un mosto di pomi e ghiande
amorini affaticati, litigiosi
sono angeli della silenziosa stagione.
Il secolo triste se ne va, alfine
quale bèllera a carica di ghironda.
Il mio paese è in guerra.
Mi rifugio nelle catacombe, tra fuochi fatui
in compagnia degli animali e delle piante.
Ho solo i verbi per giocare di sera
quando Lucifero brilla impudico
e la luna è gelida rimembranza.
Un'anima policromatica
mi spinge verso levante.
Datemi tre caravelle
e sarò un esploratore spavaldo
che non piangerà sui calcoli errati
nè sui venti ostili.
Se sbaglierò rotta, ancora
una volta tornerò indietro
e poi ripartirò a vela aperta.
Dentro ai tuoi muri sciupati
nei vasi di fiori allagati
con l'erba che cresce tra i sassi
Roma adirata, ventosa, marina
tempesta di Giove distruttiva.
Hai sollevato ogni mio terrore.
Oramai sei un padre sornione
e una madre che dà da mangiare.
Io, adottiva, sembianza vagante.
La dèa discese dal tempio
e cacciò via adirata
i suoi mesti querelanti.
Esclamò altèra: "Andate in Fasània
o genìa di stolti e fannulloni".
Aveva intorno ballerine hawaiiane
marines e foche giocherellone.
I bambini urlavano, e i gatti
erano leoni pronti a sbranarli
nel sogno dell'immaginario Colosseum.
Sopra un tappeto di mele e castagne
nell'assolata dispensa per l'inverno
dormi avvolta dalle zucche rosse
pere dorate e fichi violacei, Bruja.
Tu conosci il cifrario sospeso
leggi la posa dell'acqua
e il percorso delle bighe celesti.
Quando il vento del bigio novembre
agita il suo ghiaccio mantello
paonazzi di vino e di fuoco
i barboni s'accartocciano miti.
E tu voli senz'ali, lassù
sopra l'Altare della Patria.
Dall'orco cattivo ella fuggì scalza
verso le scalinate di Magnanapoli.
Non imbucò più lettere magiche
e posò le ali stanche davanti alla casa
di riparazioni della bambole.
C'era Fosforo in cielo, e un dolce velario
ricopriva il palcoscenico di Callìope
inviolata cornucopia, custodita fragranza.
Quando sibila il vento dell'altipiano asiatico
e gli oceani ondeggiano minacciosi
solo i rintocchi di un grande orologio
e gli sguardi brevi degli amanti
conducono nella brillante oasi di Amadeus
dove le insane, ritmiche parole
catturano i fischi acuti dei merli.
Contemplativa alla finestra
attendo nel mio eremo verde
ascoltando i carmina burana
e leggendarie gesta del Trobadòr.
Piove piano piano. Eloisa
la capinera, volteggia vezzosa.
Radioso è il meriggio cupo
nella pace di una tomba erbosa.
Minuetto antico su Dulcinea sognante
che sussurra la norrena lingua
ma vuol recarsi verso il sud caliente.
Ha smarrito l'atlante, e gli arabi
han sorpreso il suo Cervantes
con monete d'oro lucente.
Miele, sangue, amato Jimènez
non si trova un cavaliere ardente
contro le pale dei mulini a vento!
Dai fori del tempo, la voce del Pasquino
oracola messaggi slavi e orientali
e Madama Lucrezia è insieme alle ucraìne
nel Natale ebbro di vino santo.
A San Bacco, oh, come rimpiangono
le bianche notti di Madre Russia.
Al buio rilucono le rotonde nonnine
con le guance al sidro di mela.
Le ragazze del Pasquino con le labbra rosse
e gli occhi del gelo di confine
garriscono come rondini senza primavera.
I loro uomini vanno a straniere
per un letto soffice e una cucina.
Il piccolo folletto della pietra viola
ha confuso ore, giorni, mesi, anni
secoli, eternità. Quanti sospiri
o Romeo, dentro la terra vitrea.
Abbandona ogni tormento
raggiungimi nella boscaglia.
Reciteremo versi sacri, gesta inconsulte.
La danza ci sorprenderà verso la nuova luna.
Non racconterò più i nostri segreti.
Lì, allora, qualche volta, sempre.
In via dello Scalone io incontro gli amanti
Curzio, Gabriele, il triste Vincenzo.
Respiro sui loro passi di solitari
come un cagnolino fedele. Più avanti
gli stranieri mi scrutano severi
perché ho violato ogni regola, ridendo.
Sono Giulietta degli spiriti liberi.
Ho profanato le tombe mediterranee
accogliendo nella mia anima nordica
ogni vacuità errante nel vento
Chi è signori quel poveretto?
Verseggia cupo con le girandole
rimbrotta Moira ed Ognissanti
se non zittisce, va dritto dritto sul carrettone
che passa al suono della campana.
E' stato morso dalla tarantola?
Sembra Mercuzio in tramontana
ma è solo il pallido Stenterello
che ha perso grazia di menestrello
Giselle con il tutu alla Manet
espone la morte in Via Margutta
mentre fa il bagno a luci rosse
in compagnia di una baldracca.
E la vita bizzarra chiama
col tubìo delle tortore volate
sopra un cesto nudo di pietra.
Io sono il cane vagabondo
che osserva la scena divertito
e di tanto in tanto freme di giocare.
Passavo di là, scodinzolando.
Perché m'avete bruciato quale fossile
nella contea di Devon, o mistici diabolici?
Ero un essere translunare senz'astio
e suonavo a tamburello l'astrobussola.
Qualche secolo fa ero un trappista
la mia anima il diadema del Dharma.
Trasportavo in altre galassie disperse
un messaggio intimamente divino.
Antica placenta di sogni piccini
meta nebbiosa di magi stranieri
campanile innevato, mucche morte nel campo.
Senza flauto canterò la tua ilarodìa ventosa
scaduta come latte andato a male.
Malatomba, malata immaginaria, io porterò
nel cimitero verde oliva, un ikebàna.
Sinuose montagne di Francesco
le fils de la dame française
io trapasso la linea feconda
che discende fino ai famelici lupi
custodi dello spirito dell'aratro
che ulula chiuso in un acuto mausoleo.
Quanto ho atteso la luna piena
per gridare chi sono: Chiara, Chiara
collana del saio che valicò l'infinito
per aguzzi usci di pietra, e ventane di noce.
"Il mio gelsomino di Catalogna
nasconde l'aspide amico e la
catapulta carica di frecce e pietre.
Ribaldo, galante, bandito da ogni corte
e cortile, vivo musicalmente, segnando
con lettere, pelli e tamburi battenti.
Sueno por ninos, baio lucido e nero
aspiro al limitar del sentiero.
Sfolgorante Don Miguel de' Fitti Rovi".
Questo era scritto in una pergamena.
Un mendicante tracciò l'asso di picche
davanti alla porta degli studenti cattolici
arieggiando su vecchi stornelli sassoni
e il mendico senza gambe dipinse
la madonna con la guzia, all'incrocio.
Il povero ornatore pose un'opunzia
al suntuoso antro della banca araba.
Quando sopraggiunsero i lucifughi invasori
il papa abbandonò ogni liturgia, e
scappò nel giorno della sua festa.
Rilucerà rosato il trigono in cielo.
Non servono occhi curiosi ai veggenti
che scrutano dentro al caleidoscopio
il mutar di ombre e colori
o lo strambo turbante di Sabbe.
Il profanatore vestirà di carbaso
e il tempo a venire, saranno ore
agitate nel caravanserraglio di Roma.
Chi alzerà le braccia per la strada
non è detto che sia un profeta
o la sua salmodia, un raz de marée.
"Terra, o grande corpo di vermi amica
quando in morte tornerò a te
sopra di me genera un ciliegio.
Avrò grandi fiori, quale tomba di samurai
e frutta dolce, alati, e vermi amici".
La reina così dispose, prima dell'età di mezzo.
Morì vecchissima. Ebbe molti giorni per dettare:
"Ho incontrato i miei fantasmi dagli occhi vuoti.
Cammino solitaria per il pianeta Terra".
La regina della notte visita i possedimenti.
Il suo corteo di folletti e fatine azzurrine
sposterà nuvole di zanzare e libellule grigie.
Fiorirà la mimosa a mezzanotte, e il loch
glaciale sarà un incanto diamantino
secondo il libro dei sogni che s'avverano.
L'ancella della reina de la noche
leggerà ciò che le sembrerà più adatto
ad allontanare i raggi di Febo verso ponente
e il carro di Icaro, pondo di chimere.
Cosa accadrà a chi, ignaro, dormirà
sotto il folto manto trapuntato di asteroidi
e comete portafortuna? Chi troverà il ganesh
andrà ad oriente. Chi stringerà in pugno
la piccola noce fluorescente, dovrà lanciarla
dentro al lago dormiente, risvegliando
la sirena dei garofani e delle margherite di prato.
Nel freddo inverno la Musa è pigra
per sollevarsi o andare a letto
sorseggia troppo caffè italiano
e il nervosismo va al firmamento.
Il sogno arioso di un bell'amore
purché leggiadro e trasparente
la fa aspettare pazientemente
primule e viole senza pensiero.
Resterai all'asciutto nella galena, o Pépin
mentre altrove, il fiume a me caro, strariperà.
Finirai nella burella, con la tua corte dei miracoli
e sopra la contea di orridi mascheroni
riderà un carnevale parruccone, con bruchi cinesi
cavalli norvegesi e buffoni italiani pulciosi.
Quando la penitenza pasquale giungerà contrita
io indosserò un tailleur di Coco, e farò la spia.
Mi recai in mutanza in Nuova Zelanda
e sopra il Giappone intercettai un pianeta senz'aria
cercando un lampodòforo, o il fanciullo col lanario.
Artista dell'ultima era, io non riposavo sugli allori.
Dipingevo un telaio, componevo un telestico.
Conobbi un lemure vago che m'insegnò a soffiare
sopra i brandelli sparsi del mio corpo.
Anche le carogne hanno i loro bisogni
e sorridevo sulla decomposizione della mia salma
sopra il Giappone, in mutanza verso la Nuova Zelanda.
Dall'aldilà mi chiamavano Cinderella
morta intorno alla mezzanotte.
Piccioni beccano verdure e aranci
caduti a iosa dai banchi vecchi
e l'arrotino gira la ruota
tra quattro scemi che fanno i grandi.
C'è il mesto suono dell'organetto
senza scimmietta con il piattino
e fiori secchi, e pesci morti
odor di salsa e sugo al fuoco.
Non c'è terrore, nè inquisitore
eppure anch'io son gentil Bruja, Giordano Bruno.
Tra le lenzuola distese al vento
pisciano i cani con passo lento
Sarai dispersa nel cortile di una casa colonica
inseguita dalle oche, su per la salita del fiume.
Spia il pisticchìo dei passeri, sotto la bufera vicina
e non pretendere più di alzarti con le fate in volo
ma potrai ancora rubare le fragole del bosco
pensando alla tua anima, come ad una chiesa gotica.
Adorerai vivere senza speranza alcuna, Eloisa
sarai felice, desiderando solo l'impossibile.
Questi verbi ignoti, scrisse un giorno Abelardo.
La calligrafia era di canto gregoriano.
Scrivano imprigionato in un drakar solenne
io lavoravo al lume di lucerna
navigando verso ignoti paesaggi.
Un giorno udimmo deliziosi suoni:
erano tre trappisti al nascere dell'alba.
Lungo la costa, si liberò con forza selvaggia
la mia parte di spirito incline al male.
Nel sacro, ogni diabolico peccato
nel profano, la ludica gaiezza.
Li percorro in draisina, avanti e indietro.
Lascio i verbosi giochi, solo al fonico richiamo
dei fanciulli di Praga in coro. Restano
fili di carne sul sillabario.
E la meravigliosa solitudo.
Il turiferario sogna gli encausti di Pompei
con litania quasi galante
serenata per cembalo senza voce.
Incantato, fa cadere il fumoso turibolo
e vola senz'ala, volatore disumano.
Comprerò un paio d'ali al mio cavallo
sarà ippogrifo da battaglia celeste
tra i cadenti e i sorgenti lumi.
Con la buona stella sconfiggerò
ogni ingombro. Leviatano che vuol ghermire
i vietati segreti del bardo.
Giuramento del cavaliere Quaver
dall'alto di una ventosa collina:
"Veglierò sull'innocente bellezza.
Darò tremenda tortura a chi violerà
i principi dell'universo azzurro.
Sotto il kilt avrò pugnali indiani
nella cornamusa, un veleno che acceca.
E tra i merli del mio maniero
avrò a difendermi mille amici alati
dall'arma innocua, ma fetida":
I pellegrini hanno pregato a lungo
prigionieri nel caos oltre il Tevere.
Il cielo che fuggiva sopra la cava regale
ballava il flamenco, in onore dei fantasmi danubiani
a zonzo per Roma, con i flaneurs a convegno
i navigatori di fuoco, il funambolo con i birilli
e il gatto nero che vendeva libri antichi.
Il capitano buffo aveva un'idea fissa
e unica. Qualcuno gli andava dietro
a piedi o a carponi, ma per lo più
egli gradiva starsene da solo a sfarfugliare.
S'orientava sempre verso l'interno
si isolava, voleva vincere non si sa cosa.
Era un viaggiatore angosciato
perché non possedeva il giusto frasario.
E teneva un estroso diario di bordo
rivestito da penne di gabbiano.
Carnefici e vittime nella preghiera
del brivido e del divertimento.
Geishe, samurai, leoni innocenti
con fuoco, sangue e bordelli
sotto gli archi del trionfo.
E nuove croci più crudeli
primizie dei miracoli novi
ad limita apostolorum. Tempio empio.
Come polvere si posa in costume romano
la eterna noia sorniona
superna gloria, dea millenaria.
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