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versione italiana
english version
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Sei giunto in mezzo al bosco
dopo aver camminato a lungo
e finiva la stagione scura
rinascevano le foglie d'erba.
Provieni da una grotta rossa
e vai verso il tuo ganesh
giocando ai quattro cantoni
piastrella lanciata a pelo d'acqua
modellata dai tuoi amanti.
Senza più credere di mutare
ciò che resta sempre uguale.
Non ci sei, o trasparente
il vampiro e lo specchio
stanco di guardare, d'aspettare
cerchi solamente il tuo ganesh.
Sono sicuro che lo troverai
come i funghi nel sottobosco
quando ti divertivi dietro di lui
immaginario protettore
un dio che t'insegnava
come restare sul sentiero
esplorando un po' per volta.
Forse era la quercia, il ginepro
la forma più similare
un dio verde, energico
mai scomparso dal suo bosco.
Tu puoi cercarlo ancora
quando non c'è il temporale
perché è pericoloso lì vicino
persino per il figlio preferito.
Come altri prima di te
saresti colpito a morte
dai suoi sbalzi d'umore
sepolto alla svelta nel marcio.
Da lì sotto avresti nostalgia
delle camminate a ritroso
il dio verde della tua esistenza.
Antenati verseggiatori, ginnasti
atleti del pensiero e del corpo
abbronzati negli inverni al mare
senza cibo per i giorni di penitenza
messi l'uno in fila all'altro
nel museo del "chi va è perduto".
Piove di tutto sul fiume bigio
e il cinese molto paziente
pesca il cadavere del nemico.
Vincitori di tanti tornei
provano pietas per questa terra.
Io sono fra di loro, agone Fifone
e metto allo sbaraglio solo
chi è già conciato male.
Sono un eroe un po' vigliacco.
Bevono acqua schifosa
non dal calice verde.
Mummie imbalsamate ridono sadiche
a sconosciuti giunti da poco
annusano soddisfatti le loro tane.
Guai ad invaderne i territori
poiché incombe una guerra.
Sono i custodi dell'immondizia
si nutrono di poveri topolini
conditi con polvere e verderame.
Dove passano i puzzolenti
muoiono piante, i fiori si seccano
sotto l'alito e gli sputi fetenti.
Eppure qualcuno sopravvive
sfuggendo alla loro maledizione
cresce rubicondo, inspira dal fondo
d'una vaga luce interrata.
Il dio inceneritore arde
comandanti e servitori
arrostisce quale sterpaglia
gli usurpatori dell'urbe sacra
in modo che nessuno ne rinasca.
Io sono zingaro musicante
scampato all'ultimo eccidio
salvato dal cavallo, dalla civetta
e vivo dove capita, come zavorra.
Jim cercò la prima torre
e trovò una galleria spaziale
con pezzi d'astronavi polverizzate.
Con stupore cercò l'altra torre
sollevando una serranda schiantata
sul corpo d'una chitarra di legno.
Corde di nylon racchiuse
in un giochino maligno.
Egli doveva entrare, affrontare
ogni cosa detestabile.
Se vinceva nove volte
avrebbe suonato quel rottame.
Jim eseguì il suo ronzio
senza spartito sullo strapiombo.
Ho seguito solo me senza tradire
e ogni tanto ricerco di notte
ciò che di giorno è un testamento.
E' una vita che m'aizzano cani
o richiamano i bambini
come fossi impestato, gli umani
miei simili, appena mi poso tra loro.
In fin dei conti io profumo
e so di che razza son nato.
Cantore, fuori libero mai.
La terra è mater mia
e con il cielo tra buio e aurora
m'ha generato in fretta e furia.
La mia corsa è affannosa
senza perdite di tempo, sempre
prima di tornare ai genitori
mentre gli umani fanno il resto
per non disperdere il loro seme.
Un po' per volta, piano
quel paese agghindato a festa
sprofondò nella più cupa depressione.
Ogni spocchia finì sotto alle ceneri
le cose veloci rallentarono meste
e nacque la città morta
dove tutti pensavano d'essere vivi
ma in realtà erano assopiti
si salutavano dal coma profondo
ignari a sé e al resto del mondo.
Uomini delle rovine turistiche
vendevano figurine di se stessi
mentre danzavano la tarantella
battendo lo zoccolo diabolico.
Sono approdato alla città perduta
bagnata male dal fiume eterno.
Davanti all'agenzia numero uno
passano i cavalli della corsa
sbuffando sfiniti da secoli di stenti
e si rifiutano di partire alla frusta.
Cade la prima torre dei miracoli
crolla il dipinto del pittore spagnolo
ignaro d'essere nel posto di Dio
con l'invito del demonio rosso.
Dalla galleria internazionale
chiedono indietro il talento perduto
e cade la seconda torre vecchia
come fosse impastata d'argilla.
Sotto i cappucci inscheletriti
fragili assassini cadono giù
come birilli in un gioco infantile.
Con piccole dita segnate dai geloni
pruriginose di scabbia e pulci
per scherno, giù tutte le torri.
Resta la piazza vuota
giostra rimandata all'infinito.
Patrizia Caterina laggiù
raccoglie le teste dei potenti
sola, come Davide contro il gigante.
Solleva il braccio, una testa per volta
e non goccia nemmeno il sangue.
Di che eran fatti codesti mostri?
Qualcuno ha già pensato in futuro
di rifare torri più solide
se la storia umana seguisse la natura.
Era davanti all'acqua che scorre
sempre per lo stesso verso, pescando.
Gli ho detto "maestro, tu sei morto
perché ritorni da me in sogno?".
Lui ha sorriso mestamente ironico
ed ha fatto un cerchio sull'acqua.
"Tu non avevi capito cos'era
quel racconto triste sul mare.
Ora è ciò che sentirai vicino
in questo tempo di ruggine e sangue.
Ma tu sei in vita, ed io un'ombra
che già allora sfuggiva la riva.
Era il padre rinnegato, l'ubriacone
colui che amava le corride
l'emozione che non ti fa campare
se non nella natura estrema.
Padre troppo caloroso, forte
indebolito dalla sua maschia età
fino a morirne volontariamente.
Odiato, amato da poco, disordinatamente
senza una ragione, lui e il suo mare.
Amo il passato del mio paese futuro.
La mia pancia rumoreggia
viscere vuote, riempite d'aria.
Ho diciotto anni massicci
e scrivo bestemmie a colori
vicino ai posti dei ricchi.
Passano satolli di cibo e merce.
Una notte senza luna spiona
ho massacrato per poco
mutande e magliette della salute
un portafoglio di coccodrillo
una valanga d'inviti a feste
cui non andrà più nessuno.
Al mio paese ero Gipsy
qui sono lupo feroce
appresso alla lupa che allatta
me e mio fratello a suon di botte.
Il sangue scorre e trascina via
perché io ho una fame arretrata
e ancora sono bestia nel bosco
occhi fluo senza luna poliziotta.
Ammazzerò di nuovo, con la speranza
di fermarmi un giorno qualsiasi
e tornare gipsy al mio paese
dove qualcuno sta aspettando
il suo bravo ragazzo del bosco.
Porterò coltelli e soldi rubati
vicino al falò del sacrario.
Si scioglie l'allegra brigata
scrutando le stelle fisse al sicuro
lassù dove gli umani non arrivano.
Dovrebbero cedere il trono sognante
alla generazione lagnosa, scema
dietro ai suoi giochini psichiatrici.
Meglio sarebbe che qualcuno dal sogno
restasse nei paraggi a guidare sicuro
con la musica del nero americano
che un giorno mi spaventò a morte
e che ora ho udito con altra voce
ed ho visto bello, soffocando il respiro
dell'esteta europeo immemore.
Anche lui scappa via soddisfatto
con l'allegra brigata del liceo
dove non sapevo quanto ero felice
ad essere già così disumana.
In un'alba molto distante
sarò anch'io dell'allegra brigata
dipinta, descritta, musicata
da me, un ragazzo del '700
e un brutto nero americano.
Ecco la tempesta atlantica
col tonfo sordo delle bombe
arrivare fino alla nostra galassia.
Tempi infami dell'uggia
o maestro oceanico.
Siamo schiavi d'un matto
che incede incerto
spiando ogni nostro gesto.
Tempi di odio, di risse ai cessi
di signori senza sapone
da prendere solo per i fondelli
o appendere senza attaccapanni
al filo scoperto della corrente
così asciugano più in fretta.
Polvere ritorna alla polvere.
Prima invitarono il saggio
cercando di celare l'anima
di usarla per farsene vanto.
Poi hanno chiuso il convegno
e il saggio se n'è andato gaio
lasciando in apparenza
ogni cosa come prima. Illusione.
Anche nei tempi dell'uggia
se Tenzin medita distante
molto si muta in volo
verso la nostra vaporosa serra
ed io non sono più orfano.
Vieni da me, yankee
ti porterò in palestra, in acqua
nell'aula di una scuola chiusa
nei negozi di giocattoli per adulti
ad incartare giostre e carillon.
Beviamo il mosto di Halloween.
Non è ancora tardi, seguimi.
Io ho avuto sempre e solo
l'immane dono della parola
e una stufa a carbone
comprata per poche lire.
Me le hanno tolte entrambe.
Le mie parole le trovi par aria
sellando un cavallo invisibile.
Vieni qui, yankee
salta sul treno degli emigrati
sardine pigiate l'una all'altra.
Vanno a lavorare, ad amare
qualcuno ad uccidere, a rubare.
Togli le virgole dalla mia vita.
Nessuno poteva farlo prima di te.
L'impasto, l'involucro che io uso
per spiare le verità del mondo
è un misto curioso dell'ovvio
che non inganna nessuno.
Non sono normale
ho particelle intossicanti
nei geni primari
che scatenano innate allergie
e tossiscono fuori deboli inganni
a chi recita una parte impropria.
Se m'incontrate vestito da povero
non dite forte i vostri averi
e se mi doppio impellicciato
non provate a chiedere chi sono
poiché già lo sapete dalle fiabe.
Così mi temono e sfuggono
o tramano alle mie spalle
invano, senza nulla ottenere.
Il teatro è la mia passione
nessuno può dire che sono.
E' difficile semplicemente ora
essere umano sul pianeta.
Io e te siamo al fiume sacro
nella barchetta dei dispersi
che ondeggia piano piano.
Siamo arrivati da soli nel mezzo
dopo tante fughe veloci.
Non ci siamo accorti del percorso
ed ora restiamo a guardarci.
La sorgente è distante
ma anche la foce non è lì.
Ora noi ci riposiamo un po'
senza fretta di proseguire.
Ci godiamo un po' il fiume sacro.
Cerco tra la monnezza di Napoli
il giradischi che mi rubò il comune
la libreria nera, il tavolo da studio.
Le seggiole non ha potuto fregarle
la cooperativa delle pulizie
e i colleghi dell'albo dei maghi.
Non ho più suonato i dischi
nessuno sa che li canto da me
conservandoli con pazienza che non ho
verso i nuovi spazzini del paese
che lasciano il marcio a cielo aperto
e loro, giù in giro a sequestrare.
Deboli onde frastagliate
acqua tiepida alle ginocchia
nei loro giorni pieni
e all'improvviso si fa scuro.
Senza timore i due camminano
perché le meduse sono distanti
scoperte da un grande plenilunio
che inargenta gli altri pesci.
Dopo non si sa cosa fanno
in un oceano tremolante.
Santi che cercano altri luoghi
dove sostare indisturbati
i rei cadono in trappole solari
con leggerezza, senza romperle.
Sulla collina dei misteri
il tuo falò è sempre acceso
per riscaldare ricordi sopiti
così melensi da vomitare
giorni felici solo per finta.
Aspiravi a cose perfette
amori dati all'eternità
la morte in giovane età
istantanea e indolore.
Ore noiose erano là
a tirarti per i capelli
sbadigliando le lunghe attese
di sensazioni miracolose.
Qualcuno cercava di spiegarti
che non sarebbe andata così
la vita breve o prolungata.
Tu hai qualcosa in mano
altri voli solo per te.
Meno di due vite fa.
Hanno fatto la corte
ad una signora molto curiosa.
Pietre al posto d'accessori
dappertutto bulloni dorati
avvitati in ogni dove.
La divinità era in lei
prima di specchiarsi dappertutto.
Non è una donna qualsiasi
anche dopo secoli d'ozio.
Sta tentando un'immagine nuova
per turisti, per cuochi e ladri.
Calze sottili a un demin
lacca ecologica all'ozono.
S'è messa in testa un attore
bravo da sembrare bello
che prima del palcoscenico
rincorreva animali selvatici.
L'intero pianeta usato
è a loro disposizione.
S'incontrano dove nessuno dei due
ha mai posato piede
e forse nemmeno s'attraggono
così travestiti nel tempo.
Voi direte che sarà amore
l'illusione per vivere meglio
a portarli mano nella mano.
Appena dopo due vite.
Quando la primavera arriverà
succederà quel che deve succedere
nel giardino dell'uomo malvagio
dove avanza la fila dei bruchi
già belli a vedersi, immaginando il caldo
la stagione in cui saranno farfalle
e divoreranno la vegetazione.
Qualcuno resterà senz'ali
scuoiando anche l'umano
ormai non più appresso alla vita.
Senza vendetta la natura
sistemerà ogni cosa, e l'uomo cattivo.
Un invito al cinema del passato
a rincorrere le occasioni perdute
a coprire mastodontici sbagli
fatti con l'acqua alla gola
o con la bava alla bocca
per la troppa voglia di potere.
Allora era tempo di scegliere
capi decenti, onesti, dotati
anziché spedirli oltre cortina
o nel fumo della dimenticanza.
Guarda, proiettano il tuo film
un bluff girato accuratamente
che finisce qui, senza pietà
all'applauso della nera signora.
Ciao teatrino, frizzantino, fidanzatino
funzionarino, omino somarino
ciaccina fritta, partitina
nocciolino, finto americanino.
Original comunista go home.
Le due mummie non fiatavano
una zoppa e l'altra cieca
mentre attorno parlava la vita.
Una cadde giù dal muro
e si sciolse come miele nel thè.
L'altra urlando roteò su se stessa
e sparì tra le rovine dei fori.
Non sappiamo se questa visione
volesse narrare l'antico
o ciò che sarebbe successo
di lì a poco verso queste zone.
Nella danza roteante del tempo
rimane il mistero aperto
di chi viene e va via da qui.
Turisti o visitatori delle stelle
che mai furono trafitti
da ferri infuocati o carboni ardenti.
Una donna travestita da fachiro
vedeva il male controsole
e incontrò il mostro dei bambini.
Lo mise a dormire nel suo letto.
Al mattino lo schiodò a poco a poco
libero di fare ancora del male
tramutato in uno scolapasta
in giro per le strade del paese.
Il mostro non aveva più forze
esangue stramazzava a terra
e la donna fachiro capì
di dover stare ancora in circolazione
per salvare altri bambini.
Qualcuno dirà che lei
avesse una mente deviata.
Io presenzio al nuovo impero
incubo infantile che si realizza
durata minima garantita.
Destino infame del testimone
dietro al bancone dei buoni affari
nella riserva degli uomini scaduti.
A Necropoli è tutto permesso.
Le parti si sono invertite
chi è giusto è caduto in basso
a lustrare scarpe di ferro
e qualcuno ha mani a ventosa
con cui assorbe ogni cosa attorno.
Nessuno sceglie d'esser originale
l'ennesimo male minore
almeno si scade un po' più tardi
premendo il bottone sul collo a destra.
Questo posto non è più il tuo.
Sono i giorni della banda
che sveglia un sacco di moribondi.
Tu pretendi d'essere vivo
come quando sei passato qui
esaltato dalle magnolie giganti
che sono morte sotto le pietre
scavi sul passato, buche del presente.
E tu insisti d'esser lo stesso
cercando invano tracce, prove
d'una esistenza amorosa
prima della brina, del fetore
odio al posto dei sospiri.
La banda gorgheggia inesorabile
avanza e sveglia altri morti
quando tu ti volterai in su
a scrutare un'altra meta.
La metroferro è l'atelier
di un disegnatore spaziale
direttamente connesso all'inferno.
Per aria raccoglie ogni fetore
per terra insiste a scavare
spalare rifiuti e cartone.
Dà fuoco alla legna dei boschi
fa il bagno nell'acqua inquinata.
La fucina è lungo i binari
colorazioni a volte naturali
impastate di sangue e farina
cotte per bene al sole.
Non so qual'è il suo nome
né quando sia giunto qui
dopo aver sbagliato la rotta.
Ora è in ricognizione
delle antiche arti locali
e lascia dietro sé una scia
che arrugginisce i metalli
polvere di dinamite
come fosse stata usata
per una guerra distante da qui.
Io canto una canzone psichedelica
ipnotizzata da una fantasia per te
una gioia antica che stupisce.
Sii il benvenuto. Portami
dove giocano a contare
carte sempre vincenti.
Il dolore è di seconda mano
diluito con ossigeno e sale
perché non sanguini a lungo.
Recita, fingi quello che sei
e nessuno gli rassomiglia.
Lavora a questo specchio chiaro
fino ad esserne catturato
o Narciso alla fonte piena.
Spreca meno tempo come ballerino
per vecchie con cicatrice alla pancia
o spogliarelliste in cerca di dote.
Metti una foglia di fico in testa
per ripararti dal sole troppo forte.
Cerca un cervello simile al tuo
con una voce più stridula.
Nel caso succedesse davvero
nella postazione provvisoria a terra
denominata Necropoli. Incontra l'acqua.
La metà del cuore è salita
in cima al palazzo turco
sudando a lungo nel vuoto.
Nonna sventola il suo ventaglio
non sapendo per quanto sarà qui
tra di noi a vegliare, a curare
le mille ferite d'ogni guerra.
Sono attratto come calamita
dove non sono ancora ammesso
io da poco riconosciuto parente.
Vendo gelati, carne fresca, panini
agli angoli della mia Berlino
dai tempi dello sporco muro
contro cui sbattevo in bici
ogni giorno per andare al lavoro.
Metà della luna in cielo
è nel mio cuore che batte
vicino alla bisnonna velata.
Cosa ci faccio ancora qui
a questa tavola rotonda
tra i volontari d'ogni causa persa?
Dopo la visita alle alte sfere
non ho più voglia di fare scale.
Nel ricordo d'una radio notturna
e d'una televisione diurna
a me dedicata dall'aldilà.
Codice privato, manicomio criminale
stanza nel riverbero temporale.
a, avanguardia, s, suicidio
mancata morte presagita
s, sogno unica risorsa
r, realtà dura, sempre.
Non contare più i giorni
alla rovescio è diabolico
nell'attesa del codice perso.
Ho comprato una giacca rossa
dal sudamericano con occhi orientali.
Sorrideva, carezzando la mia mano.
Pensavo per quale miscuglio
appena ingoiato a colazione.
Guardavo e non dovevo restare.
Ogni principe torna ranocchio.
E' sempre l'età della fuga
con quale furberia in più
per sfiorare l'anima delle cose.
La mia giacca è carina
anche presa da uno spacciatore.
Quando tornò di qua dal muro
piangeva come una vita
tagliata a metà, deragliata
sotto la luce di un occidente
diviso e assurdo, un pallottoliere
cui non tornavano mai i conti.
Tessera rossa strappata alla svelta
con fuga distante oltre cortina
per poi tornare come niente fosse
tra chi ancora ci credeva
e non avrebbe mai tollerato
quella foto in mezzo alla neve.
Una miriade d'affamati
dietro a pezzi molto grossi.
Hanno cambiato nome e stile
a quel mondo sempre al buio.
Le statue solenni sono crollate
ma c'è ancora chi le ha addosso.
Lungo il fiume inquinato
non si può proseguire.
Suona un pezzo orecchiabile
con la chitarra verde smeraldo.
In qualche modo andiamo oltre
e arriveremo, stando assieme.
All'arrembaggio, io sorrido
e porto alla leggera
l'amplificatore mezzo rotto.
Un artista di strada
fuori per l'ora di cena
non ha età, ossa, ciccia
è mascherina, scarabocchio.
I tempi di merda
strimpellano a vuoto.
Lui è un povero miliardario
vive come nulla avesse
per possedere solo se stesso.
Crema vellutante per Fatima
scappata dal suo Marocco
agli acidi della frutta per Alima
che ama far tardi la sera
rimpiangendo la sua Somalia.
Un infuso di giovinezza
per la mia Corinne di Bucarest
che al concerto ha visto il suo divo
e poi è tornata in famiglia.
Per Alina, Andrea e me
un'arma dorata e indolore
che scacci streghe linguacciute
stronzi ricconi e fannulloni.
Noi siamo le ragazze del treno
che non ce la fa più a sbuffare
avendo cento anni per binario.
Abbiamo ogni età, due continenti
graffiti di un anno trascorso
ad attendere in silenzio un passaggio.
E' uno squallore che ti toglie
la vita. Queste false note
sopra la piazza ovunque sorvegliata.
Tu sai che fanno finta
d'essere più realisti del re
e ti mozzerebbero il capo
se non avessero più testimoni.
Hai puntato tutto oltre cortina.
Per domani. Perquisiscono le tue cose
chiedono se hai bimbi nascosti
e cosa sia quel filo all'orecchio.
Hai paura quando al buio
arrivi a valicare il muro
che non basterà demolire
o spedirne i pezzi sulla luna
perché qualcuno può ricominciare
in ogni istante a rimpiangere
i pezzi verso est, sputando
vodka sopra l'Alexandr Platz.
Avrebbero aiutato i poveri
a diventare qualcosa un giorno.
Li avvolsero nelle loro bandiere
in piazze affollate, fedeli
che chiedevano cibo e lavoro.
I capi ammansivano tutti
con continue promesse d'aiuto.
Andavano a pranzo da soli
nei lussuosi posti del nemico
finché presero il suo trono
e ai poveri rimasero le bandiere.
Qualcuno ci s'impiccò, altri
più coraggiosi le strapparono
per farci un vestito carminio.
I capi persero di nuovo
e rincorsero pochi cadaveri
litigando come dannati.
Questo nella magica infanzia
in cui l'impossibile era lì
per Vlad, l'artista ingenuo.
Ma io che non ci credevo
adoravo già il cinema muto
e gettavo in fondo al secchio
inverosimili opere omnie.
Finché rimasi da solo
col manifesto del poeta cileno
che scolorì coi pizzini, le dediche
ai miei scalognati compleanni.
La morte civile fu la bandiera
che il potere amaranto distese
come nebbia dentro cortina.
Sono scomodo testimone
non una spia vissuta altrove
dal mio paese, come Amal
che cantava in mezzo alla sabbia.
Recitava una nenia funebre
per le vie della necropoli
in attesa dei teschi d'oro.
E all'alba è giunta l'ombra
che lasciava l'uomo con la barba
giù a contare le sue verità.
Matematico puro, rinchiuso, evaso
dentro al libro delle torture
scomunicato dalle alte sfere.
Memorandum di pagine sbiadite
mai lette senza tossire
spaventata da chiaro presagio
dal tormento d'una dura sorte.
Leo di Morra mi diceva
di fare attenzione alle purghe
di salvarmi dal ginnasio
con gli amici dal telefono rosso.
Attivisti, funzionari di partito
fecero e disfecero a piacimento
giovani vite appena accennate
organigramma di umani scartati
perché inaffidabili, liberi
o semplicemente troppo bravi.
L'uomo con la barba mi guarda
e recide con solide cesoie
la mia cortina di ricordi.
Un soffio d'aria sul viso
m'ha svegliato all'improvviso
e il mondo, o Leo, m'informavano
della morte appena avvenuta
dello strano uomo in fuga.
Ricordate il canto da oriente
la poesia che volevate
come sudditanza perpetua?
Eccovelo servito coi guanti
per non lasciare impronte.
Sono diventata un po' spia
per sfuggire ai lavori forzati.
Chi ha ucciso la principessa
e perché nessuno parla
in questa terra martoriata
da martiri fasulli, infestata
da doppiogiochisti del cazzo
specialisti in conigli e cilindro
truccati con cura per ore
alla festa del cammello grasso?
Famiglie scellerate spediscono
all'inferno, promettendo il paradiso.
Lei non doveva morire
solo perché la sua voce
dava fastidio ai sordomuti.
In mezzo al campo di grano
m'aspettano mio padre e un corvo
e sorridono contenti
delle balle che mi sono inventata
per divertirmi con poco
ingannando un tempo da streghe
da architetti senza compasso
e d'antiquari falliti che svendono
a prezzi di cemento armato
la necropoli bianca
rossa per partito preso
e verde non proprio militare.
Al momento non è semplice trovare
una casa diversa che sia mia
qui dove non vorrei più stare.
Se fosse per me a questo punto
io comprerei un battello su misura
dove entrare e dormire
con lo sciacquio continuo.
Ho paura dell'uragano
se viene di notte senza nome
perché di giorno ci si salva.
Basta rimanere tra la gente
avere soldi da spendere in giro
entrare e uscire da lindi specchi.
Forse è ancora presto. Rimango qui
ma resta il progetto in cantiere
d'una solida barca, e via.
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