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versione italiana
english version
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Un battello felice solca le acque sporche
col pescatore dalla pelle rugosa
che cerca lucci e trote grosse
sotto le mura della città morta
per affumicarli di notte all'aperto
mentre i vicini sognano soldi e gloria
o d'ammazzare parenti e conoscenti
agevolati dall'infernale calura
che ha trasportato sulle acque un plankton
nutriente e dolciastro, ghiotto pasto
per tante bestioline affamate.
Qualche forma vivente mangia tranquilla
altre si rodono le budella.
O forestiero orientale estatico
che scruti imperi abbattuti
va' anche tu a mangiare, e a letto!
Sono questi i giorni dentro ai cancelli
della città morta e infuocata.
Affàcciati sul cortile dei mostri
che parlano con voce gracchiante
ed inviano maledizioni a raffica
da dietro finestre sempre chiuse
alla luce del sole mattutino.
Questo tu vedi al posto di persone
che un giorno forse furono vive
e provarono l'ebbrezza del pensiero
l'orgoglio di essere nati umani
con la possibilità di scegliere e fare
cose semplici, utili, buone.
Oscurità hanno preso evidentemente
come loro saggia consigliera
il male per chi sta loro appresso
odio, invidia, ogni balorda pazzia
possa cancellare l'origine, la chiara sponda.
Servono chiodi e martello.
Dovresti rinchiudere il tuo paese
entro una botticella ben fatta
e farla rotolare lontano, lontano
colma di gemiti e imprecazioni.
Solo con una matita verde
segno le tracce di plankton
che mi nutrono gratis a volontà
da quando ho solcato la natura
quella vera, il selvaggio cancello
che mantiene e distrugge, poco ecologico.
Senza divagazioni, o smarrimenti
non c'è il nuovo pensiero
breve, rapido, ramingo
utile all'istante, o per niente.
La storia si sta assopendo
in una tazza di camomilla
tra moti, vibrazioni, intermittenze
come avesse da festeggiare
i suoi ultimi compleanni.
E il plankton è la mobile vita.
Cosa ne è stato dei Propilei
dei maestri appoggiati alle colonne
ed io, dietro le loro orme
a filosofeggiare sul nulla
guizzo geometrico d'anatrina
automa, dietro l'origine buona?
Forse resta qualche saggio consiglio
"prenditi cura di te stesso
usa con saggezza anche il male
domina le visceri, calmerìa
riparti da dove hai lasciato
esiste ciò che tu operi".
E poi? Echi, intarsi preziosi
la pietas per gli indifesi
la rabbia verso gli iniqui
e tanta meraviglia costante
di fronte alla naturale beltà.
Tanfo di carta bruciata ovunque
accumulata, macerata, putrefatta
imballata da curiose macchine.
Digitare, trovare, inventare.
E il richiamo d'altri maestri
altre armi marchiate d'ingegno
dà coraggio per i giorni matti.
Budda dagli occhi a rondinella
sorride e non porta la guerra.
Se Dio, qualsiasi dio
è un pensiero costante e vasto
di sicuro è arrabbiato come me
in mezzo ai fantocci della pace
agli assassini invidiosi, agli ingiusti
che non cercano, non vogliono sapere
quanto costa conquistare qualcosa
felicità, opera, se stessi
invece di buttarsi nel vuoto
fingendo d'essere i migliori.
Non ci credo ad un dio cattivo
al servizio di nababbi schifosi
fissati di comandare tutti quanti.
Le stelle rilucono vicinissime
a chi ne trattiene il riflesso sulle ciglia.
Dalla terrina alla Chiesa Nuova
evapora l'odore della minestra
offerta dai frati ai pellegrini affamati
nel tempo del Signore e della peste
in cui si viveva senza saperlo
e così si diventava fantasma
che di notte tornava ancora
travestito alla rinfusa, a suonare
una dolce nenia ossessiva.
L'angoscia serpeggia tra i vivi
in corsa perenne per non sentire
l'aroma che sale implacabile
dal sottosuolo infuocato, umido.
Appena si fermeranno, è fatta!
Non torneranno indietro
e nessuno li cercherà più.
Affilo gli unghioni dei piedi
spessi come quelli d'una strega
nata all'aperto, zotica caprona
e quelle unghiette che ho alle mani
adatte a piantare zucche e patate.
Vengono via fuliggine, terriccio
la posa del ferro e del tabacco
fino a che divento una gran signora
ambigua e languida, esotica
che rompe ogni specchio segreto.
Musici ubriachi e satolli
che non eseguono più sinfonie
si scalzano in riva al Tevere
tra le zanzare e le zecche.
Il loro nume patriottico
si toglie il frac e s'affoga.
Eppure aveva due bei baffoni
ed un bavero candido a fiocco.
Stanotte riapre il teatro d'Apollo
con losche comparse nel buio
mentre il Plankton divora senza pause
la poca acqua che rimane.
Muovi l'indice col palmo d'una mano
apriti al mondo, elimina le scorie
dalla parte dei confini artificiali.
Vola sul finale delle fiabe
che racchiudi nell'altra mano chiusa.
Lascia qualcosa di microscopico
che non inquini il tuo genere sozzo.
Cerca ciò che ti serve adesso
nella nuova enciclopedia dei giorni
e non perdere le ore in ciance
come facevi prima, a parlare
parlare, parlare del niente
che riempie bocche e pance come otri.
Sono meno presuntuosi, sfatti
i fiori delle terre arse
il modesto radicchio bluastro
la simpatica lupinella lilla
le ultime ginestre malaticce
rassegnati ad una natura grama
che ha perduto la conta delle stagioni
e a volte vomita razzi, ingegni pazzi.
Verde, rosso, arancione, giallo
sono disseminati a caso, con sciatteria.
Non trova più né pace, né dimora
la sempiterna mater obliosa
e così noi dormiamo agitati
e sogniamo solo tombe aperte.
Ma s'ella ci sorprende furtiva
ancora, con lieve respiro ventoso
allora il risveglio è repentino
e noi balliamo, e c'innamoriamo.
Così mi son trovato in un istante
in questo guazzabuglio verdognolo
e dovevo respirare, trangugiare
e altre cose varie e faticose.
Avendo a che fare, a poco a poco
con un bipede piccolo e riccio
mentre iniziavo col pensiero buffo
d'averne addosso uno liscio e alto.
Sfuggivo agli attacchi repentini
di ladri e lingue biforcute
acquistando il dono calamitoso
di dire la verità per gioco
che porta a sé torture e vessazioni
fin dalla più tenera età.
Non è mia intenzione begolare
su male e bene, come manicheo cataro
perché ogni cosa ne contiene
in dosi mescolate così a fondo
che è assai arduo, d'ogni azione
dire l'originaria impronta.
Ed è poco tempo ancora
che son cosciente d'essere quaggiù
ma non posso contenermi in ciò che vedo.
Una vecchiaccia assisa a gambe aperte
sulla soglia di casa, all'alba
m'aspetta minacciosa al varco
mentre inseguo i segni asciutti
dei padri greci e latini.
Erba sopravvissuta, bestie alla fatica
confusione e calura sempreviva
che ne ammazza molti, a Dio piacendo
nella novella mia stagione dell'oro.
Ogni giorno sono in lunga fila
col monaco bianco e nero
che odora di camomilla secca
e donne metà carne, metà plastica
sudaticce, marroni e grigie
che mi guardano con odio infernale
celando pugnali e sassi in culo.
E uomini senza più comprendonio
pronti a sparare da qualsiasi finestra
per una monetina caduta sull'asfalto
come mangime per pollame in gabbia.
Presumo che sia questo il paradiso
o il sogno a cui accedono a frotte
sbarcando da chiatte sfonde
da aerei dirottati apposta
gli abitanti del limbo orientale
o del purgatorio africano
e coloro che fanno saltare tutto
per non fare la lunga fila
con ironia, per il verso giusto
anche dietro al frate.
Erika, ricordi quella casupola
fatta di spaghetti al sugo
e camicie da presentatore tivù
stese in fretta fra un bicchiere e l'altro?
Tu eri amica non con me
ma con la tua gemella
rimasta figlia d'un camionista
mentre facevi anticamera e altro
in tutti i palazzi del potere.
Ma io non ero tua sorella
ed è la vergogna che t'ha portato via
come questi pupazzi della capitale
oramai caricati a salva.
Una folata di vento dal futuro
fischia a te, ai tuoi compagni:
"Ha fatto a meno di voi volentieri
con l'indifferenza della pancia piena
mentre una nazione intera
mastica di traverso cavoli marci".
E mi conosce sul serio
solo chi non m'ha visto ancora.
Ho conosciuto un buon pollaiolo
che puzzava di penne e uova aperte
asmatico, con la pressione alta.
Scorazzava per l'Italia intera
col camioncino scassato del fieno
con le gabbie aperte dei conigli.
E mentre vendeva il suo pollame
faceva anche il letterato
dai versi a cruciverba contorta
muovendo la massa corpulenta
come montagna di gelatina.
Avrà sudato da turco ai bagni
ma è candidato al premio d'inverno
e una statua di carne bovina
erigeranno in suo onore
sulla piazzetta dei tuberi grossi.
Cavaliere con cavallo al galoppo
o faccione con scala in bocca?
Sto componendo lo stemma altèro
del mio casato di marmo e sasso.
Abitò molti anni addietro
nel paese del buon risveglio
col sorriso della talpa
e la fogna a cielo aperto.
Andrò a morire sotto il suo cielo
l'ho giurato alla mia carcassa
ma per ora vivacchio al giro.
E libertà più degli amori
piante e bestie in egual misura
tra l'ala e l'elmo, sincero vènero.
Instabile goduria è il mio splendore
filtrato attraverso zone interdette
quale uragano dal nome di donna.
L'ultimo uomo mi chiamò Amazzone.
Le croci coprirono di massiccio dolore
vitalità selvatiche e rari piaceri.
Così l'Urbe ancora s'infuoca
quando la natura arde la steppa
e le acque, ricercando la sua origine.
L'aiuta Iside sepolta sotto al tempio
la magica pigna e un gatto
mentre Elèna beve alla fonte
per non apparire una vecchietta
e Tono le fugge appresso
come fosse sempre la più bella.
Sotto ogni chiesa, in ogni vicolo cieco
Roma cela esplosioni
di guerrieri, d'amanti in calore
e non riesce ad essere santa.
"Ad ogni pensiero gaudioso
un soldino di vaniglia in tasca
ad ogni oscuro presagio
che il bicchiere si colmi di fiele".
Una matrona con cappello a falde
strozza nel suo cappuccino
e le scaricano addosso
una tonnellata di monnezza.
Rimane solo il copricapo
schiacciato a ciambella col buco
in mezzo alla via dello spirito
Ella s'era arricchita
facendo e disfacendo il malocchio
con sottile velo di vedova.
Non era proprio malvagia
da giovane l'Italia.
Solo troppo lesta di mano.
Non rimaneva molto tempo
al vecchio Leonardo ludico
per i giochi campestri
le ambigue bugie di pennello
ma solo la grazia lenta
della sua morte corporale.
Con l'ingegno di chi non ha molto
partì per l'ultima estate
verso Roma e il suo cimitero
aperto quattro mesi l'anno.
"L'Urbe è estranea ai secoli
se n'è mangiati troppi
e qualcuno le è andato di traverso.
Ci caccerà tutti quanti
nelle notti calde come il giorno.
L'urbe non guarirà più
ma io volerò sopra di lei.
Meglio tornare ai miei lavori, al gioco".
Nel mezzo del frutteto
sirene d'allarme e sveglie rotte.
Nessuno ha paura, si va all'assalto.
Il popolo pennuto scorrazza
nel suo paradiso terrestre
facendo sberleffe e spergiuro.
E mele novelle in polpette
l'uva bucata ad arte
pomodori fatti al sugo.
Il padrone geme col suo fucile
contando le cifre del disastro.
E' l'estate dei cani che mordono
degli incendiari pagati a cottimo
del sole malato di sabbia
che disintegra la temperata riva.
Degli uragani senza acqua
dei morti per troppo benessere
degli psichiatri pazzi con machete
contro frotte di colleghi e pazienti.
Intere famiglie suicide
per amore, o per danaro
e altre che giocano per noia
un milione di schedine
per vincere cento miliardi.
Il professore di filosofia
sembra un becchino in pensione
che si è dato al bere
perché nessuno crede più
a magnifiche sorti progressive.
Nottetempo vado nel frutteto
prima che l'alba lo riconsegni
ai miei fratelli pennuti.
E svolazzo quale piccolo predatore.
Ricca, avara agenzia funebre
sempre attiva dal chiaro all'oscuro
spazza cortili, spolvera persiane
sfama bestie in gabbia
annaffia piante già secche.
Tieni bene i morti meglio dei vivi
che aspettano solo di crepare
per avere un po' di tregua.
Chi non resiste s'ammazza prima
che si compia il suo destino
o finge d'avere strani malori
in cambio di un po' di comprensione
e alla fine s'ammala sul serio.
E' la regione cupa e nebbiosa
in cui la sorte volle spargermi
poiché la natura è leggera
tenue quadretto del Botticelli
e gli animali non prigionieri
son spensierati e mattacchioni.
C'è un'ora per essere felice.
Carica l'orologio grigio
metti un ciondolo portafortuna
sniffa il profumo del loto
corri senza riflettere
verso chi parla la lingua
dei mistici e dei banditi.
Per gustare il sapore
di un'ora speciale
a volte devi transitare
per il paese dei mostri stupidi
ed essere alquanto indifferente.
Ho salutato tante volte
la faccia nascosta, senza occhi
ma essa ricompare a sorpresa
e m'atterrisce ancora.
Mi salvo fortunosamente, o perché
ho imparato, strada facendo
a creare comicità
dopo opposta scuola, i pianti greci.
Così la melanconica faccia
giace sul pianeta cattivo
cogli omuncoli verdi e bellicosi
ed io nel mattutino diamante
finché i piedi mi reggeranno.
Poi riderà chi resta
di qualche isolata elegìa
sfuggita per sbaglio
al discreto attore comico.
Hanno mozzato le gambe ai corridori
hanno annebbiato le teste pensanti
hanno cucito superbia ed astio
sulle bocche che ridevano al circo.
Adesso è troppo tardi
e i colpevoli non sono più rintracciabili.
Prigione europea a castello
bimbo sulla carrozza che suona
barbone con le toppe al culo
studente che serra le porte
ad ogni affinità elettiva.
Ospedale degli incurabili
di te resta una cartolina turistica
con la bandierina stellata
bagnata dall'uragano Sileno.
Il mio piccolo fiume si stiracchia
sazio di piogge acidule
e mi culla sopra le rovine
di grandi progetti generazionali.
Mongoli e Tartari come amici
per imparare la lotta libera
una zattera mai terminata
l'organetto che sonicchia l'Internazionale
nel mezzo del regno degli Zar
da cui sono scappato via
anni luce bruciati, incantati
per raggiungere un posto speciale
col tocco leggero delle dita.
Crescendo ho incrociato in giro
solo piagnoni e iettatori
ed ora dovrei andare appresso
ad uno spelacchiato profeta
con tante donne e cento figli
dalle orecchie allergiche
al suono di un'ocarina?
Che crepi nella sua spelonca!
Io resto lungo il piccolo fiume
aspettando ogni giorno con fiducia.
Io trapasso la luna diurna
confusa nel mezzo del cielo
mentre molti animali partono
per terre lontane, o vanno in letargo.
Come ballerina altezzosa
in attesa d'un ingaggio
dopo abbondante esercizio.
Con la borsa rossa a tracolla
m'alleno a carezze perdute
a tre corpi che danzarono insieme
in un vago senso del nulla
in un sabotaggio discreto e ridente
d'ogni trappola emozionale
aiutati dagli anni agitati
da una rivolta dell'armonia
contro ogni altro potere
non concesso da natura indulgente
ma dai morsi dei cani umani.
Cigolante passa il tram dei sospiri
che scintilla, volando a San Francisco
su binari di scope fuligginose
e di fischi, nell'aria impalpabile
sopra la larga baia del futuro.
Con la musica tu entri clandestino
cantando la canzone del vagabondo
nel mondo che non riconosci più.
Interroghi gli invisibili numi
sepolti da sempre in questi luoghi
per sapere dove ti trovi.
Senza barzellette per ridere
senza acqua, né luce
i ladri rubano gli ultimi televisori
per rivenderli a chi non li ha mai visti.
E' questo un posto bacucco
di delicate dame pallide
rapite con teste e mani tagliate.
Entra con la giusta melodia
all'asilo dei bambini prodigio
e insegna loro come scappar via.
Ti crederanno un po' scemo
e t'inchioderanno nel deserto.
Hai paura, donna persa lì attorno
accecata da luminosità spaziali?
E' una maniera sbagliata
d'udire il finale del coro.
Mi fa male il pensiero.
Ho un virus che mi divora
e mi fa scrivere famelico
per dominare la voglia d'esser felice.
Nonostante gli almanacchi della nobiltà
zeppi di matti e pervertiti
brutti a vedersi, pessimi all'odore.
Io controllo una calma apparente
e svolgo attività benefiche
malgrado i bollenti spiriti.
Potrei essere un vampiro
o altro mutante della terra
ma sono solo un sacerdote
del mio tempio sempre chiuso
violaceo e profumoso
o bianco e salutare
a seconda del volgere dei pianeti
vicino al mio. Uno sguardo appannato
dalla lunga giornata che finisce
prima di serrarsi nella preghiera
e nei desideri speziati.
Ogni tanto m'incontri per strada
e non sai che io misuro
ogni tua mossa, ogni passo.
Come un'ombra alla luce del sole.
Se la mia patria sparisse all'istante
cosa mancherebbe della compianta matrona?
Una zampa di gallina da brodo
grassa dagli artigli bianchicci
dipinti di fresco per sfizio.
Un'enorme bomba coccodè
evaporata dalle minestre dei Natali
o cacata con le uova di Pasqua.
Al funerale di mezzogiorno
tutti piangerebbero come fontane
per un'ora di buon vicinato.
Poi tornerebbero, soffiandosi forte il naso
come una cantata da tenore
nella rete per moscerini
o pesci piccoli piccoli
distesa lungo ogni confine.
Rete sottile, immateriale
fatta di occhi e bugie
di eccidi e suicidi irrisolti.
Rete che non dà più accesso a niente di vero.
Se si sfalda, oh, piccolo buco!
Ecco, saltano tutti quanti insieme
fino alla prossima rete
ancora più fina.
Sono nati 12 cani
a terra. Attaccati per la coda
succhiano alla cieca la magra cagna
distesa al sole mezza morta.
Non sono passati gli accalappiacani
ma solo mendici e vagabondi
che col canestro chiedono soldi
per far vedere il fenomenale parto.
Il giorno dopo sono spariti tutti
e non c'è traccia di sangue
di latte, di peli ed escrementi.
Sono nati in uno strano posto
con la statua d'un bruciato vivo
e i passi d'altri condannati a morte.
Porteranno fortuna a chi li ha contati?
Visione di 5 secoli fa
premonizione dei giorni a venire.
Mi trovo in quarantena ai muraglioni
come dopo un'ondata di peste
trasportata dalla veloce bora
molto prima di quanto previsto.
Essa ha squassato a destra e a manca
scoperchiando le gallerie delle talpe nere
e le facciate di cartone dipinto
dei finti amanti dell'umanità.
Sono circondato da euforici e depressi
che sembrano reduci della divisa Berlino.
Di qua luci e ribalta, di là buio pesto.
la stessa mela divisa in due. Metà da divorare
metà da gettare alle oche del Campidoglio.
Ma nel sogno io cammino sorridente
ed ho una bandiera cucita in cuore
da non esibire che alle stelle
nell'etere striata dalla vicina aurora.
I versi onirici si dipanano lesti
come puledri scalpitanti in pista
e non li afferro mai. Ahimè.
Se ne tornano lieti nel loro regno naturale
popolato di scarti dei giorni pieni
di cose non necessarie per sopravvivere
ma delicate, o terribili per i sensi umani.
E li ripesco per caso sulla strada
quando qualche avvenimento
tende al disumano, o rompe la bilancia
della statua di pietra, la giustizia.
Tre stelle di felicità
Pastina, Calmina e Trielina
per lo squarquoio mondo europeo.
Una per onorare la sua cucina
una perché ritrovi la sua serenità
e la terza per conservare i suoi ruderi.
Per resistere con la faccia tosta
agli eccidi compiuti in casa.
Per fortuna io ancora me la prendo
dei guasti che vedo attorno.
Cerco di asciugare lacrime
di riparare alla meno peggio
vizi e false virtù diffuse.
E verso ogni mio compleanno
potrei scrivere per 72 ore
restando fresca come rosa.
Pioviggina sul palco dei latini
su ciò che resta tra i felini
a chiazze, neri ed egizi
tra le merende lasciate a morsi
sopra i pezzi dei corpi impolverati.
Dormono come ghiri in letargo.
Meglio così, altrimenti capirebbero
che non è valsa a molto
la giornaliera pena tra sé e sé
davanti alla morte della Magna Grecia.
Altrimenti preferirebbero essere stati
scellerati guerrieri mercenari
al servizio degli dei più ricchi
o balordi combattenti ammazzaleoni
tripponi immobili come pascià
a trangugiare datteri e miele
coi liquorini del mare Nostrum.
I
Hai avuto due passaporti
uno verde marcio, uno color vinaccio.
Uno per imparare ad essere ruffiano
guardone, invidioso, bilioso
sfaticato ed ignorante.
Un altro nuovo per essere superbo
menefreghista e vigliacco.
Il primo per dimenticare
le grotte con le pecore
le vedove nere che urlano
e poi preparano i maccheroni.
Il secondo per cancellare l'omino coi baffetti
le troie appoggiate ad ogni muro
tirato su in tempo di guerra.
Potrebbero staccare a morsi il Cupolone
o fondere in ferraglia la Torre Eiffel
che nessuno lascerebbe le proprie manie
come quella d'appendere alla finestra
mutande bucate sul didietro
senza elastico per stare su.
II
E se vuoi un altro passaporto
trova la parola giusta
ed entra nel mare, nel cielo
attraverso la montagna d'estate.
Danzerai una specie di trescone
cavalcherai come un indiano
e avrai il tuo battello tra i coccodrilli.
Lunghi giorni pieni d'aria
e di te sempre pronto al gioco.
Se mi chiedi cosa è la gioia
io così ti risponderò ogni volta
che tu mi consulterai, tirando i sassolini
ai due elementi di cui sei fatto.
Cerca un posto che ti rassomiglia
e non avrà importanza il tuo colore
l'abitudinario idioma, ma il vento
che lì ti poserà quale spora.
Ancora temono la mia lingua Durlindana
il povero decoro che mi cinge
l'esser comune fuori dal comune.
E' dedica amorevole obtorto collo
all'inizio del 47° giro intorno al mondo
per te scomodo umanoide
che mi porto dietro dalla culla.
Che tante volte rompe davvero
e ti scambierei con mirabolante creatura
per far girare la testa agli attori preferiti.
Con curioso entusiasmo intatto
all'ebraico profilo destro
e al nordico sinistro.
Oggi l'altare della Patria
è camposanto pieno di uncini
megafoni sfondi d'altri tempi.
Come se la pace non fosse bene
universale, comune, naturale
e non invenzione di qualche stracciaiolo.
Come se io non m'alzassi ogni mattina
nell'atmosfera pregna di bellicosità
delle bandiere d'antichi torturatori.
E passando per Campo de' Fiori
non dovessi schivare con destrezza estrema
il tiro incrociato dei cecchini pacifisti
anche se non indosso vestiti d'alta moda
mimetizzati al fuoco delle mitragliette.
E guardo solo gli occhi dei cani
che la dicono lunga sui loro padroni.
Oggi sfilerà ancora per Roma
la Compagnia della Buona Morte
mentre io vedo, affogata a Tevere,
l'acquasantiera d'una vecchia chiesa.
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